POSSIBILITÀ’ : FENOMENI VARI

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FENOMENI VARI

Uto Ughi:

«[A casa di ROL lui] cominciò subito a parlarmi delle corde dei miei strumenti e la cosa mi lasciò senza fiato. Proprio in quei giorni avevo problemi con le corde di uno dei miei violini. Con precisione millimetrica mi suggerì come dovevo fare e che cosa. Sbalordito, feci cenno di si, che avrei fatto come lui diceva. [Qualche giorno più tardi] Solo a casa, prendo in mano quel violino che mi dava problemi e comincio a provare. Non va bene, penso che devo cambiare una corda e mi interrompo. Cambio la corda, riprendo lo strumento, non è ancora perfetto. Provo ancora, sistemo ancora la corda, nulla. Il suono non mi soddisfa, poi improvvisamente mi viene in mente che proprio Rol, pochi giorni prima, mi aveva parlato di quelle corde. Bastò quell’attimo, quel secondo, quell’associazione di idee perché tutto diventasse normale. Non so spiegare cosa sia successo. Ora il suono è perfetto. Come d’incanto, come se una bacchetta magica… Proprio una bacchetta magica? Che sia stato Rol? Me lo chiedo ancora».

Maria Luisa Giordano:

«Sul divanetto del ‘700 in salotto era appoggiato un violino antico. Rol non volle mai suonarlo, però mentre era al telefono nell’altra stanza una sera si mise a suonare da solo, la sua voce era dolcissima, penso fossero frasi musicali di Paganini».

Emma Ghion:

«A Rol era stata fatta una lastra fotografica all’alto addome. Questa lastra aveva una stranezza: l’area dove sarebbe dovuta iniziare la testa era sostituita da un alone di luce. Ricordo che la lastra é stata presa da uno dei medici, ma non saprei dire da chi. Gustavo, osservandola, mi aveva detto: “Vede, questa è la mia energia”».

Giuseppe Trappo:

«Una notte accadde che un medico, assistente di reparto, avendo dimenticato un referto, tornasse a riprenderlo. Vedendo la luce ancora accesa nello studio del direttore, incuriosito, si avvicinò affacciandosi sull’uscio. [Il direttore sanitario] Mensi, riconosciutolo, lo invitò ad entrare e ce lo presentò. Nel fare le presentazioni sottolineò le straordinarie facoltà di Rol e la fama di cui godeva in Italia e all’estero, iniziammo a conversare del più e del meno e dopo un paio di minuti Rol, rivolgendosi ai medico, lo apostrofò così: “Caro il nostro dottore, lei non crede che io sia in grado di fare certe cose, non è cosi?”. Il medico, visibilmente a disagio, abbozzò una risposta confermandogli tutta la sua stima. Ma Rol, più deciso che mai, gli lancia una gelida occhiata e gli disse: “Non menta, dottore! Lei non crede in me e nelle mie sperimentazioni. Non menta, perché glielo leggo nel pensiero” e il poveretto, rosso come un peperone, continuò a negare sostenendo che Rol si sbagliava. L’atmosfera si era fatta pesante quando Rol, addolcendo un po’ il tono, aggiunse: “Senta, per dimostrarmi la sua sincerità, faccia una cosa. Lei conosce molto bene tutte le stanze di questo piano. Ebbene, esca da questo studio ed entri nella stanza accanto, proprio qui a fianco, a sinistra. Vada dentro e li troverà una sorpresa. È per lei”. Il medico, completamente sconcertato, si guardò intanto non sapendo cosa fare. Vedendo la sua esitazione, Rol gli rinnovò l’invito: “Per favore, vada nella stanza qui accanto. Troverà una sorpresa che le schiarirà le idee”. Conoscendo Rol, avevamo già capito le sue intenzioni. Intervenne allora Mensi che esortò il collega dicendogli: “Vai! Vai pure. Segui l’indicazione del dottor Rol, Sai bene che la stanza qui accanto è vuota da tempo. Che paura hai? Vai!”. Il medico, rincuorato da queste parole, si alzò, uscì dalla studio e apri la porta della stanza che gli era stata indicata. Non passò neppure un secondo che udimmo un forte scrosciar di cascata, e poi null’altro. Com’era possibile? Eppure il rumore che avevamo udito era proprio quello che fa l’acqua quando cade dall’alto in copiosa quantità. Ci precipitammo nel corridoio e vedemmo il poveretto li, appena oltre la soglia della stanza, bagnato come un pulcino, immobile in un lago d’acqua. Eppure la stanza era completamente vuota e inutilizzata da tempo. Non c’erano docce, rubinetti, secchi, pompe o altro che potesse giustificare anche solo una piccolissima parte della quantità d’acqua che era stata rovesciata sulla testa del malcapitato».

Pierlorenzo Rappelli:

una sera eravamo in casa nostra, e qualcuno di noi aveva parlato del fatto che vista la stagione -. noi abitavamo in via Giolitti sulla piazza Cavour, c’erano diverse piante di castagne, c’erano moltissime castagne per terra — si è parlato del fatto che la stagione era così e che c’erano delle castagne per terra. Gustavo ha detto: “Castagne?” e all’istante una pioggia di castagne sono arrivate nella camera, ce n’erano delle centinaia per terra. Ora, evidentemente non le aveva in tasca quelle castagne li, non ha potuto tirarle fuori di nascosto. Le abbiamo raccolte, le abbiamo messe in un sacco… Sono arrivate tutte… le abbiamo sentite cadere.. le castagne erano da tutte le parti».

Domenica Visca Schierano:

«Abbiamo visto cadere dal soffitto dei cioccolatini».

Nico Orengo (n.p.):

«Mi ricordo un episodio clic si raccontava, di un signore torinese che disse a Rol di non credere alle sue facoltà. Però da quel momento  si ritrovò credo per un mese a dovere uscire — proprio sentire la necessità fisica di uscire ­tutte le sere a mezzanotte, prendere la macchina e andare a fare un giro in collina».

Valerio Gentile:

«Eravamo nel 1980. Si usavano molto gli ultrasuoni, come sistemi di sicurezza. (…). Io misi un buon impianto di sicurezza ultrasonico. Lui il giorno dopo mi telefonò dicendomi: “Gentile venga a toglierlo. lo non voglio niente come risarcimento, perché non riesco a dormire, riesco a sentire questo rumore, che mi entra in testa, no riesco assolutamente…” io in un primo tempo dissi: mah, che strano, eppure noi installiamo solo quello. Avevamo fatto decine di impianti a Torino, a diverse personalità… Ancora adesso ci sono degli impianti a ultrasuoni che vengono utilizzati in giro — in musei e quant’altro — ma nessuno sente i suoni. Pensai che mi prendesse in giro. Ma era molto seccalo anzi che io non riuscivo a capirlo, e mi ricordo la sua insistenza, perché prima di parlare con me contattò mia madre dicendo: “Deve assolutamente liberarmi da questi suoni”. In un primo tempo lo presi come una persona che volesse quasi prendermi in giro. Poi in realtà quando lo vidi di fronte mi resi conto che in effetti aveva qualcosa che lo turbava. Gli smontai tutti i sensori, mi portai via tutto indietro, e lui si rasserenò. Disse: “Bene, così mi hai capito“» [Gentile installò poi un altro tipo di impianto].

Rinaldo Soncin:

a [Rol] era venuto qui da me per dirmi se posso andar [a casa sua] a far un altro lavoro. “Signor Soncin, Le misuro la pressione”. Abbiamo aperto il doppio metro sul mio banco. Non ha tirato fuori di tasca niente per poter fare questo, mi ha chiesto un pezzo di spago sottile e un chiodo. Gli ho dato circa mezzo metro di spago, ha legato la testa del chiodo, con la punta che scende in giù verso il metro. Mi ha preso il polso in mano. Siamo andati avanti pian pianino con la punta del chiodo che quasi toccava il metro, quando siamo arrivati a 128 — e lui col mio polso in mano — la punta del chiodo misurava 128, la mano sua andava ancora avanti, pianino, ma la punta del chiodo non si muoveva da 128. È andato avanti di circa 3/4/5 cm, finché il chiodo è andato avanti anche lui. Io guardavo in basso verso il chiodo e il metro, per vedere se la punta tocca il metro: non toccava! A un certo punto mi ha detto: “Signor Soncin, ce l’ha a 128. Presi gli accordi per il lavoro, da andare a fare a casa sua, Se n’è andato. Io sono andato subito in via Belfiore all’angolo, alla farmacia Verga. [Quindi chiede:] “Mi misura la pressione?” “Senz’altro”. Mi misura la pressione:128 [di massima]. Cosa potevo dire io? A meno che non mi abbia ipnotizzato, ma secondo me la punta dei chiodo non toccava il metro. (…). lo non rimanevo in piedi, guardavo la punta del chiodo se tocca[va] il metro. [Ci mostra come: chinandosi con la testa quasi al livello del bancone di lavoro] Non lo toccava.

[Facciamo notare che questa necessità di verificare da vicino dimostra come non poteva essere ipnotizzato. Soncin poi ribadisce quanto fosse stato stupito del chiodo che si era bloccato come se avesse trovato nell’aria un impedimento invisibile ? o spago e il chiodo non cadevano in verticale, ma restavano inclinati, in diagonale] La punta del chiodo non toccava il metro. Ho visto che è andata avanti poi di scatto. Prima é andava avanti in parallelo, poi ha traballato, dopo il 128, é come se avesse toccato un ostacolo. E io la pressione non me l’ero mai misurata. La mano avanza lentamente, e la punta del chiodo si arresta sul 128? Perché’? E il mio polso era sempre nella sua mano che mi teneva. (…). lo non sapevo come misura la pressione lui. Ho pensato: adesso tira fuori l’elastico, la pompetta e mi misura la pressione, ce l’ha in tasca. No: me l’ha misurata con questo sistema qui, unico al mondo. ..e l’ha azzeccata».

Lorenzo Mondo:

«Ricordo una memorabile serata in compagnia di Ceronetti: le luci del salone si accendevano e si spegnevano da sole, in una notte serena l’acqua gocciolava sul tavolo, vicino alla porta d’ingresso avvertivamo come un calpestio su un manto di foglie secche».

 Frassati (Gustavo Rol):

«In una delle sue rare “confessioni” raccontava: “Pensa che non posso più andare `Aux Invalides’ perché si muovono tutte le bandiere!”».

 Giordano (Gustavo Rol):

«Ogni volta che [Rol] si recava al museo “Des Invalides”, a Parigi, al suo passaggio le bandiere francesi si mettevano a sventolare, come per un saluto».

Federico Fellini:

«Un’altra volta si parlava di colori, di fiori e, di colpo, il mazza di garofani, che c’era nella stanza perse i colori, si spense completamente diventando grigio».

Maraini (Federico Fellini):

«[Fellini] Mi raccontò come l’amico [Rol] avesse usato un giorno l’energia delle mani per creare un vortice di carta materializzandola dai cestini di lontani uffici abbandonati; come aggiustò seduta stante lo borsetta della moglie usando un dito come attrezzo perforante; come sapesse leggere un libro chiuso o curare a distanza come aveva fatto telefonicamente con Zeffirelli. Quel giorno, tuttavia, il registratore non aveva funzionato; in seguito, quando gli dissi che la cassetta era rimasta vergine, egli rispose “Meglio cosi”. Sapeva che quei fatti, chi non li aveva visti o vissuti non li avrebbe mai capiti».

Giuseppe Platania:

«[Con Rol] si parla, per circa mezz’ora, di fenomenologia non scientificamente dimostrata. improvvisamente tutte le luci si spengono (accertammo poi che il black-out aveva interessato l’intero palazzo) e si riaccendono dopo quattro secondi (verificabili dalla videoregistrazione). Alla riaccensione, sul tavolo in palissandro, a circa quattro metri dai divani, è presente un oggetto del quale si era parlato in precedenza divagando su Napoleone(…). Mentre lo esaminiamo stupiti (era freddissimo, quasi gelato), lui commenta soddisfatto; “È andata bene che questa volta non ha fatto rumore e non vi siete spaventati._.!”, poi ride compiaciuto, tra sé e sé. Gustavo era di fronte  (il tavolo era posto lateralmente ad entrambi, a circa quattro metri di distanza) e non si mosse di un millimetro durante il black-out, come d’altra parte testimonia il filmato, se non per il brevissimo periodo senza luci). Nessuna spiegazione su quell’apporto, ma la dichiarazione che si tratta di un dono “speciale”».

TRATTI DALL'”UOMO DELL’IMPOSSIBILE” A CURA DI FRANCO ROL