PERSONAGGI : FELLINI (PARTE QUINTA) – BUZZATI RACCONTA

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PERSONAGGI : FELLINI (PARTE QUINTA)  

BUZZATI RACCONTA
 
Buzzati racconta quattro episodi vissuti da Federico Fellini con Rol
Il regista Federico Fellini era molto amico di Rol e di frequente gli faceva visita a Torino, anche per chiedergli consigli sui propri progetti ci­nematografici. Naturalmente aveva assistito a numerosi esperimenti. In un incontro col grande giornalista e scrittore Dino Buzzati aveva raccon­tato quattro episodi esemplari. Così li aveva descritti sul Corriere della Se­ra del 6 agosto 1965:
 
«Erano seduti, Fellini e Rol, in una sala dell’albergo Principe di Pie­monte, a Torino. Accanto a loro un tavolino con sopra un grosso cala­maio d’argento. “Adesso provo un esperimento” disse Rol. Guarda però che non mi riesce sempre. Vedi quel calamaio? Ti prego, tienilo d’occhio“. Fellini fissò il calamaio. Subito ebbe la sensazione che “qualcosa succedesse dentro di lui, qualcosa di obliquo, come un malessere lucido”. A un tratto, mentre continuava a fissare il calamaio gli “venne a fuoco” il piano del tavolino, con eccezionale evidenza, ma senza più il calamaio. Sotto i suoi occhi il calamaio era sparito. E Rol non si era mosso dalla poltrona. non aveva mosso le mani. «”Il calamaio era sparito” spiega Fellini. “Si trattava però come di un’eco. L’operazione, come dire?, era avvenuta su un altro piano, io ne percepivo soltanto una rifrazione”. Rol era sudatissimo, quasi uscisse da un lungo e spossante sforzo. Ma scherzava: “Adesso mi arresteranno come ladro. Adesso come facciamo? Riuscirò a far tornare il calamaio? Quel signore laggiù ci sta guardando. Lo conosci tu quel signore laggiù in fondo?”. Fellini si voltò a guardare. Non c’era nessun signore. Riportò gli sguardi al tavolino. Il calamaio era tornato. «”Come può fare cose simili? Da quello che ho vagamente intuito, Rol deve compiere una serie di operazioni mentali in cui crea un certo ordine che si traduce in realtà fisica. Chissà, si direbbe che conosca la famosa legge di Einstein per cui la materia può trasformarsi in energia e viceversa; solo che lui la realizza sul piano mentale”»,
 
Continua il resoconto di Buzzati sul Corriere: «Un altro prodigio avvenne in un ristorante, pure a Torino. Avevano finito di pranzare, era già stato pagato il conto. ”Andiamo?” propose Felilini. “Andiamo pure” ri­spose Rol, Fellini fece per avviarsi all’uscita ma si accorse che Rol restava seduto. “Non ti alzi?” gli chiese. “Ma io sono già alzato” fece  “Io sono in piedi”. Fellini guardò meglio; Rol era alzato, infatti, ma aveva la statura di un nano. Il dott. Gustavo Rol, che sfiora il metro e ottanta, non era più alto di un bambino di dieci anni. Qualcosa di folle, di allucinante: come Alice nel paese delle meraviglie. “Su, andiamo, andiamo” fece Rol a Fellini annichilito. Ma a Fellini mancò di nuovo il fiato: senza che egli avesse potuto percepire il mutamento, poi di colpo si era trasformato in un gigante, stava accanto a lui come un cipresso, lo sovrastava di almeno una spanna.
 
«Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un’altra panchina, una “nurse” dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. “Guarda là” dice Fellini “bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia”. “No, non occorre” risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell’insetto, fino schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. “Ah, mi dispiace”, deplora l’uomo misterioso e affascinante. “Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!”.
 
«Quarto caso. Per avere disobbedito, Fellini stette male, per due giorni non riuscì né a mangiare né a dormire. “Mi fa scegliere una carta da un mazzo. Era, mi ricordo, il sei di fiori. Prendila in mano, mi dice, tienila stretta, sul tuo petto e non guardarla; ora, in che carta vuoi che la trasformi? Io scelgo a caso. Nel dieci di cuori, gli dico. Mi raccomando, ripete lui, tienila bene stretta e non guardarla. Lo vedo concentrarsi, fissare con intensità spasmodica la mia mano che tiene la carta. Intanto io penso: perché mai non devo guardare? Sì, me lo ha proibito, ma il tono non era troppo severo. Che me lo abbia detto apposta per indurmi a trasgredire? Insomma, non resisto alla tentazione. Stacco un po’ la carta arai petto e guardo. E allora ho visto… ho visto una cosa orrenda che le parole non possono dire la materia che si disgregava, una poltiglia grigiastra e acquosa che si decomponeva palpitando, un amalgama ributtante in cui segni neri dei fiori si disfacevano e venivano su delle venature rosse… A questo punto ho sentito una mano che mi prendeva lo stomaco e me lo rovesciava come un guanto. Una inesprimibile nausea… E poi mi sono trovato nella mano il dieci di cuori”.».
 
Federico Fellini, nel suo libro Fare un film (Einaudi, 1980 e ì 993) co­si parla di Rol: «Ciò che fa Rol è talmente meraviglioso che diventa normale: insomma, c’è un limite allo stupore, Infatti le cose che fa, lui le chiama “gio­chi”, nel momento in cui le vedi per tua fortuna non ti stupiscono. Soltanto, nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente.
«Com’è Rol? A chi assomiglia? Che aspetto ha? «È un po’ arduo descriverlo. Ho visto un signore dai modi cortesi, l’eleganza sobria, porrebbe essere un preside di ginnasio di provincia, di quelli che qualche volta sanno anche scherzare con gli allievi e fingono piacevolmente di interessarsi ad argomenti quasi frivoli. Ha un comportamento garbato, impostato a una civile contenuteti contraddetta talvolta da allegrezze più abbandonate, e allora parla con una forte venatura dialettale che esagera volu­tamente, come Macario, e racconta volentieri barzellette. Credo che la ragione di questa comportamento (…) sia nella sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento che si può provare davanti ai suoi traumatizzanti prodigi di mago. Ma, nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla in ridere per far dimentica­re e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo., i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Sono occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta, gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza.
«Quando si fanno “giochi” come i suoi, la tentazione dell’orgoglio, di una certa misteriosa onnipotenza, deve essere fortissima. Eppure Rol sa respingerla, si ridimensiona quotidianamente in una misura umana accettabile. Forse perché ha fede e crede in Dio I suoi tentativi spesso disperati di stabilire un rapporto Individuale con le forze terribili che lo abitano, di cercare di definire una qualche costruzione concettuale, ideologica, religiosa, che gli consenta di addomesticare in un parziale, tollerabile armistizio la tempestosa notte magnetica che lo invade scontornando e cancellando le delimitazioni della sua personalità, hanno qualcosa di patetico e di eroico»,