ARTICOLI (Franco Rol): Fellini nel paese delle meraviglie L’amicizia con Gustavo A. Rol

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Fellini nel paese delle meraviglie L’amicizia con Gustavo A. Rol

Luce e Ombra, vol. 119, fasc. 4, ottobre-dicembre 2019, pagg. 291-299

È noto che il piú importante regista italiano del XXº secolo, vincitore di 5 premi Oscar, e uno dei maggiori artisti che l’Italia abbia avuto, fu amico di Gustavo Adolfo Rol, il maestro illuminato che manifestò per tutta la vita numerosissime possibilità paranormali (49 secondo una mia classificazione).
In base a una mia ricostruzione, il primo vero incontro tra i due – per il tramite dello scrittore Leo Talamonti – avvenne a Torino nel 1963, dopo l’uscita del film 8 ½. Fu l’inizio di una frequentazione che durò 30 anni, fino alla morte del regista nel 1993. Pare tuttavia che Fellini avesse conosciuto Rol forse in maniera fugace già dieci anni prima all’epoca de I Vitelloni (1953) e quando stava già girando La Strada, tramite l’attrice Valentina Cortese, amica di Maria Rol, sorella di Gustavo che conosceva sin dall’infanzia a Torino. Filippo Ascione, assistente alla regia di Fellini per Ginger e Fred (1985) e Intervista (1987), che ha conosciuto bene sia il regista che Rol, ha detto in piú occasioni che Fellini voleva incontrarlo sin dai tempi della Dolce vita (1959-1960), ma che non ci riusciva, nonostante fosse già famoso mondialmente. Ad Ascione che negli anni ’80 desiderava lui stesso conoscere Rol, Fellini aveva risposto: «Guarda Filippicchio, per me è molto più faci-le farti incontrare il Papa, il Presidente degli Stati Uniti, ma Rol è veramente un personaggio difficile. Anche io ho impiegato un bel po’ di tempo prima di incontrarlo». Già questo basterebbe a dimostrare l’inconsistenza di una certa critica fatta a Rol, da parte degli scettici, che in cambio dei suoi prodigi e esperimenti otteneva l’amicizia di personaggi famosi. Piuttosto è vero il contrario: personaggi famosi speravano di incontrarlo e spesso non furono nemmeno ricevuti, perché solo curiosi (a tal proposito, si potrebbero riempire pagine di esempi analoghi). Rol applicava principi iniziatici ben noti nella storia delle religioni, che non facevano eccezione alcuna allo status del “candidato”, e questo soprattutto per il suo bene. Testare l’ego altrui era normale amministrazione per un maestro illuminato come lui, persino con un gigante come Fellini.
Passata però la fase di test, i due divennero grandi amici, e la storia di questa amicizia è ancora tutta da raccontare. Infatti gran parte dei biografi, dei collaboratori, dei conoscenti di Fellini concordano nell’attribuire a Rol un ruolo chiave nella vita del regista, ma nessuno ha mai potuto fornire particolari, perché quasi nessuno, di fatto, li conosceva. Il regista teneva questa relazione tra le cose piú preziose del suo in-timo, da condividere solo con pochi e solo perché una qualche occasione lo richiedeva. Di qui il vero e proprio contrasto tra il poco che è stato riferito su Rol dai biografi di Fellini e l’importanza cruciale che invece ha avuto per lui, molto piú di Bernhard o Jung, per intenderci. Una rassegna di commenti servirà a fornire un quadro generale . Tullio Kezich parla dei «racconti straordinari che su Rol mi aveva fatto», molto stimato e forse un po’ temuto da Fellini sulla cui vita e carriera influì con consigli e profezie»; Gianfranco Angelucci scrive che «sulle magie di Rol, Federico indugiava ammirato, con profusione di dettagli. Raccontava incredibili fenomeni di telecinesi, grazie ai quali con la sola forza della mente… era in grado di spostare gli oggetti da una stanza all’altra, smaterializzarli e ricomporli in uno schiocco di dita anche a grande distanza, in altre abitazioni, in città lontane»; «conservava religiosamente un paio di scarpe a cui Rol, per gioco, aveva scambiato i tacchi, togliendolo a una e raddoppiandolo all’altra»; Bernardino Zapponi scrive che «ricorreva spesso a lui, anche per telefono… lo considerava un consigliere, un amico»; Costanzo Costantini sa che lo «consultava periodicamente» e Alessandro Casanova che ne «ha grande rispetto»; Toni Maraini racconta che Fellini gli «parlò di Rol…[che] possiede straordinari poteri paranormali e» «non soltanto lo ammirava ma lo stimava molto come amico, per la sua onestà, modestia e umana integrità»; Antonio Tripodi riconosce che «la frequentazione con Rol condizionerà profondamente la vita personale e anche artistica del regista», mentre Federico Pacchioni afferma che «all’apice dell’“adesione” [«verso i fenomeni esoterici»] si colloca certamente lo fiducia che Fellini riponeva… [in] Gustavo Adolfo Rol, frequentato e stimato anche da collaboratori d’eccellenza quali Tullio Pinelli e Nino Rota».
Tra i collaboratori, amici e conoscenti del regista, Fiammetta Profili dice che «raccontava sempre che la sua vita cambiò quando conobbe Gustavo Rol, che aveva grandi doti. Andava con frequenza a Torino per vederlo (…). Fellini diceva: “Tutti noi speriamo che la vita non sia solo questo, e da quando ho conosciuto Rol ho la certezza che ci sono altre dimensioni”»; Dino Buzzati, che aveva appena conosciuto Rol nel 1965 e ancora non lo aveva frequentato (a differenza di Fellini), scriveva che «del prodigioso mondo in cui vive Gustavo Rol, Fellini mi ha parlato a lungo, senza un dubbio, senza una riserva». Filippo Ascione mi ha riferito che «Federico diceva a tutti che la sua vita si divideva in due parti: prima di Rol, e dopo Rol»; Paolo Villaggio, che non conobbe Rol e non credeva a Fellini quando gliene parlava, ha dichiarato che «era fissato» con Rol, che «aveva facoltà speciali», che «è stato sempre uno dei suoi argomenti preferiti», «Giulietta poi non ne parliamo, era completamente affascinata»; Guido Ceronetti scrive che «la frequentazione di Gustavo Rol, per Fellini [era] un appuntamento quasi morboso», mentre Roberto Gervaso «che fra gli amici di Fellini ci sia Rol, e fra gli amici di Rol Fellini, è abbastanza noto. Si conoscono da anni, da anni si frequentano, da anni si consultano. Forse è più Fellini a consultare Rol che Rol Fellini: non sappiamo. Certo è che il grande regista – così almeno dicono – non fa un passo, non muove foglia, non comincia, o non finisce, un film senza il viatico di colui che Buzzati definì “il Maestro”, l’“Illuminato”, il “Sapiente”, il “Superuomo”»; Mirella Delfini dice che Fellini «mi parlava di un uomo con una personalità e un potere troppo grandi per poterci credere. Un uomo che lui ammirava quasi come una divinità»; Andrea De Carlo parla del «loro rapporto, così intenso e strano. Fellini quasi cercava rassicurazione da Rol, lui che sembrava così forte e determinato»; anche Lorenzo Ostuni ricorda che «Fellini era molto amico di Gustavo Adolfo Rol, e andava una volta al mese, una volta ogni due mesi a Torino da [lui]. (…) ha trovato in Rol il massimo rappresentante del secolo di queste discipline»; Rinaldo Geleng ha dichiarato che il regista «quando aveva del tempo libero, prendeva un aereo e andava a Torino per parlare con Rol. Al rientro, ciò che raccontava era veramente al di fuori di ogni immaginazione»; Camilla Cederna scrisse che «Fellini arrivò da me stravolto a raccontarmi i “miracoli” che Rol aveva compiuto sotto i suoi occhi»; Cesare Romiti riferì di aver «visto più volte Fellini pendere dalla sue labbra aspettando consigli sulla sceneggiatura».
E cosa diceva direttamente Fellini? Lo spazio ci permette qui solo poche citazioni essenziali. Nel 1964 dichiarava alla rivista Planète: «Io ammiro in modo particolare il dottor Rol di Torino, per lo sforzo eroico che sostiene nel salvaguardare il proprio ego individuale dall’assalto di queste misteriose forze. Sul piano psicologico, il fatto che lui creda in Dio, e si appoggi con tutte le sue forze alla Divinità, mi appare come un tentativo salutare per non sprofondare nell’angoscia, per non restare distrutto da questo magma sconosciuto. Certo è l’uomo più sconcertante che io abbia incontrato. Sono talmente enormi, le sue possibilità, da superare anche l’altrui facoltà di stupirsene. C’è un limite anche alla meraviglia»; «nonostante la potenza delle sue facoltà, riesce a tenere a bada l’orgoglio, e si rifugia in una zona di religiosa consapevolezza che ha del meraviglioso. So di dargli un dispiacere nel riferire cose come queste; ma non mi sento di negare la mia testimonianza ad una realtà sconosciuta e di tanta importanza». Già all’inizio della loro amicizia non solo Fellini riconosceva la grandezza di Rol, ma era sensibile alla sua necessità di riservatezza e faceva presagire che di lui avrebbe parlato solo in rare occasioni, adeguandosi così proprio a ciò che Rol ha sempre desiderato: l’assenza dei riflettori. Le poche eccezioni alla regola furono per illuminare, è il caso di dirlo, alcune questioni che Rol aveva bisogno di rettificare o far conoscere al grande pubblico. Riflettori quindi sui contenuti delle interviste, non su di lui. All’inizio del 1965, a Tullio Kezich che gli diceva «da come ne parli mi pare che consideri Rol un vero mago», Fellini rispondeva che «la parola ha un timbro medioevale e oscurantista che non si addice al personaggio. Prima ancora di essere un mago è un uomo meraviglioso, un’anima bella»; qualche mese dopo, a Dino Buzzati raccontava: «È un signore civilissimo, colto, spiritualmente raffinato, che ha fatto l’università, dipinge, si è dedicato per anni all’antiquariato. Ma dispone di tali poteri che non si capisce come non sia famoso in tutto il mondo. Chissà, forse non è ancora venuto il suo momento. Quel che Rol sa fare è pauroso. Chi assiste prova la sensazione di uno che sprofonda in un abisso marino senza scafandro. È la testimonianza fascinosa e provocatoria di una trascendenza. Se non si resta terrorizzati è soltanto per il suo modo gioviale e scherzoso un po’ da Fra Ginepro, per l’atmosfera salutare che si sprigiona da lui. Del resto egli stesso, prima degli esperimenti, cerca, con opportuni avvertimenti, di creare un limite alla meraviglia, altrimenti si potrebbe rimanerne schiantati». Nel 1980, nel suo libro Fare un film, Fellini rielabora e aggiunge quanto detto in anni precedenti: «nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla in ridere per far dimenticare e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo, i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Son occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta, gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza». A Sergio Zavoli, in data imprecisata Fellini dirà che «Rol non è un mago, è a modo suo uno scienziato che legge dentro la vita, che ti mostra le dimensioni invisibili della realtà»; ad Anita Pensotti parlerà dei «meravigliosi prodigi che ho vissuto in prima persona. Mi piacerebbe descriverli un giorno… ma non basterebbe un volume», e nel 1987 dirà su Astra: «Sono restio a parlare di lui perché siamo diventati grandi amici», «sarà bene chiudere qui le mie confidenze su Rol: è un uomo che non vuole e non cerca la notorietà».
Come si è visto, Fellini non considerava Rol propriamente un “mago”, e sapeva anche quanto questo termine non gli piacesse, lamentandosene spesso con i giornalisti che così lo definivano. Rol ha del resto sempre rigettato, e con veemenza, anche le qualifiche di medium e sensitivo, e con tutte le ragioni. Per quanto riguarda il primo caso, perché non andava in trance né faceva sedute spiritiche, anzi contestando la stessa teoria spiritica2 che fossero i defunti ad intervenire nelle sedute, opponendo la nozione di spirito intelligente, che ha analogie col residuo psichico di cui parla per esempio René Guénon, vale a dire una “fotocopia” della coscienza di quel defunto, la sua memoria, rimasta operante nell’archivio dell’universo (mentre l’anima, il defunto vero e proprio, tornerebbe «a Dio»). Tale “spirito”, che “partecipava” talvolta agli esperimenti di Rol, poteva essere anche quello di una persona vivente, perché si tratterebbe di un qualcosa connaturato all’essenza umana, che è in tutti e rimane sulla Terra dopo la morte. Rol diceva inoltre che ogni cosa animata e inanimata ha uno “spirito”, ma solo quello dell’uomo è “intelligente”. Quando nel 1927, a 24 anni, raggiunse l’illuminazione, divenne consapevole di questo suo spirito. Coniò in seguito la definizione di coscienza sublime, «l’unione con l’Assoluto, un Tutto, un’interezza senza separazione alcuna», analogo al nirvana o al satori delle tradizioni orientali. Fu grazie a questo stato che iniziò a manifestare tutta l’incredibile gamma di possibilità paranormali (carismi della tradizione cristiana, siddhi di quella indù) che hanno lasciato sconcertato Fellini e centinaia di altri testimoni. Quanto a “sensitivo”, può essere usato per Rol solo come aggettivo, come una delle sue qualità, ma non come sostantivo perché sarebbe un termine molto limitato per definirlo. Nessuno definirebbe il Buddha “sensitivo”, dal momento che siamo di fronte a un Maestro completo, che ha penetrato i regni oltre il visibile, conosce i principi di una scienza sacra, ha vinto la morte (sono molte le testimonianze post mortem su Rol). Senza contare che, etimologicamente parlando, “sensitivo” rimanda ancora ai sensi, mentre con Rol è il puro spirito ad agire.
Tornando a “mago”, Rol lo rifiutava intanto perché non faceva rituali, e anzi una delle caratterisitiche piú sconcertanti della sua fenomenologia era la semplicità, la spontaneità, la quotidianità, l’estemporanietà: per lui era normale fare talvolta veri e propri miracoli come per noi guidare un auto o nuotare. Aveva cioè padroneggiato il suo mondo, che era una convergenza di mondi. In secondo luogo, “mago”, proprio come aveva detto Fellini, aveva «un timbro medioevale e oscurantista», laddove Rol era una figura luminosa, positiva, espressione della pura dedizione al prossimo e apostolo dell’evoluzione spirituale dell’umanità. È pur vero però che un maestro illuminato è necessariamente anche mago, perché i suoi prodigi assomigliano a quelli delle favole, delle Mille e una notte, del Mago Merlino. A questo aspetto suggestivo Fellini non ha saputo resistere (e come avrebbe potuto? Fellini!) infatti pur conoscendo i limiti e le idiosincrasie di Rol per questa definizione, in alcune occasioni lo ha comunque definito cosí, era il suo “mago” e lo vedeva come qualcuno che lui stesso avrebbe voluto essere: «il sogno della mia vita era fare il mago come Rol, non di fare il regista, né di fare altri mestieri», aveva detto a Filippo Ascione. Del resto forniva già qualche indicazione l’alter-ego Mastroianni nel progetto di un film su Mandrake, personaggio dotato di poteri paranormali autentici appresi dopo un lungo apprendistato in Tibet, dove tra l’altro pare Rol sia stato negli anni ’30.
Amava l’episodio di Topolino Apprendista stregone in Fantasia, uno dei suoi film preferiti, e rincorse Carlos Castaneda tra Stati Uniti e Messico sui luoghi dello stregone Don Juan, dai cui incontri con l’antropologo peruviano voleva trarre un film “magico”. Affascinato da Jung e in particolare dalla sua idea di sincronicità, attribuiva molta importanza a segni e coincidenze e consultava frequentemente l’I Ching. Il progettato film su una incursione nell’aldilà, Il viaggio di G. Mastorna, cominciò proprio poco tempo dopo (1965) l’inizio della frequentazione con Rol, e non fu mai realizzato, per una serie di ostacoli di varia natura, perché era un soggetto difficile sul quale Fellini aveva continui dubbi, per il ruolo dello stesso Rol che voleva un finale con la prospettiva dell’immortalità dell’anima, mentre il regista questo finale non riusciva a “vederlo”. Sono queste tematiche che andranno approfondite meglio di quanto fatto finora, perché nessuno ha ancora tenuto conto dell’impatto meteorico che Rol ha avuto nella vita di Fellini.
Comunque è certo che quasi tutti i biografi e conoscenti del regista hanno scritto o si sono riferiti a Rol come al «mago Rol», piú per sentito dire che per conoscenza diretta o indiretta del personaggio (c’è chi in un libro recente su Fellini ha persino scritto «Roll» ben 21 volte, senza fare lo sforzo (sarebbe bastato un click in rete) per sapere come si scrive, e men che meno fornendo una nota a margine per spiegare chi fosse, nonostante su di lui siano ad oggi state pubblicate 29 monografie e girati numerosi documentari, incluso uno trasmesso da History Channel nel 2008). Nella prospettiva felliniana Rol=Merlino, e solo nel mondo di Fellini, “mago Rol” si può anche accettare. Fuori da quel mondo, no. Tanto che Rol aveva chiuso un occhio, pur controvoglia, per quelle rare occasioni in cui lo aveva chiamato cosí pubblicamente. Fellini è Fellini.
Resta da esaminare la fenomenologia di cui il regista è stato testimone. Prima di ciò però, è necessaria una premessa molto importante. È noto a tutti che Fellini fosse un affabulatore e che avesse ammesso di essere un «gran bugiardo». Coloro che sono scettici su Rol usano questa nomea del regista, testimoniata da molti, per screditare tutto quanto ha raccontato su di lui. Citano ad esempio come un leitmotiv l’affermazione di Paolo Villaggio che Fellini «quando ne raccontava i prodigi si capiva che li stava inventando». Lo stesso Villaggio però ha praticamente ammesso di non sapere nulla né di Rol né del rapporto di Fellini con lui quando in una intervista raccolta da Zanetti (2018) ha affermato che «c’era questo signore di Torino che aveva fama di mago e penso che Federico ci sia stato mezza volta». Ora, nemmeno il piú sprovveduto dei biografi di Fellini credo farebbe una affermazione del genere. Secondo una mia stima, Fellini e Rol nel corso di 30 anni dovrebbero essersi incontrati una cinquantina di volte o forse piú, e sentiti al telefono innumerevoli volte. Preso atto che Villaggio non ne sa nulla e nulla può giudicare in merito, diremo che le pur reali bugie di Fellini riguardavano la sua narrativa, inventiva, creatività e vita quotidiana. Per Nicola Piovani il regista era «non un bugiardo, ma molto fantasioso, creativo»; Simona Argenteri scrive che «le sue bugie sono piccole, concrete, legate a fatti apparentemente banali dell’esistenza: un indirizzo, una data, un periodo scolastico, un aneddoto della memoria altrui catturato e poi vissuto come proprio … Non c’è mai un senso in questo mentire e tanto meno uno scopo reale, un vantaggio sia pure secondario, sia pure narcisistico». Ci sono ambiti però, quelli piú intimi, quelli piú profondi, dove Fellini era l’esatto opposto. E si potrebbero citare sue analisi della vita e delle persone affilate come coltelli, precise come un bisturi di chirurgo, penetranti come laser. Per cose che realmente toccano il suo intimo, i giudizi che dà e le riflessioni che fa sono dei capolavori di autenticità. Questa interiore personalità di Fellini, si rifletteva poi nelle sue relazioni. Come scrive Gianfranco Angelucci, «nelle persone cercava autenticità, altrimenti perdeva presto ogni interesse». Se Rol non fosse stato autentico, come avrebbe potuto rimanerne amico per tanto tempo, con conferme continue delle sue possibilità? Davvero sarebbe arrivato ad ammirarlo «quasi come una divinità» a forza di autosuggestionarsi con la sua inventiva?
Ma Rol andava al di là della stessa fantasia di Fellini. Con lui, non aveva bisogno di inventare nulla.
Vedremo che l’analisi della fenomenologia dimostrerà come essa sia perfettamente conforme a quanto hanno raccontato tutti gli altri testimoni. Il che evidentemente esclude qualsiasi ipotesi di affabulazione.