PERSONAGGI : FELLINI (SECONDA PARTE) -MASTORNA

image_pdfimage_print
FELLINI (SECONDA PARTE) -MASTORNA
 
Filippo Ascione collaboratore di Fellini parla di un altro dettaglio importante
Il film impossibile di Fellini Damiano Laterza «Il Sole 24 Ore» 08-05-2008
«A volte sospetto che non sia un semplice film, ma qualche altra cosa che non sono ancora in grado di comprendere».

Ovvero, quando neanche un regista riesce a vedere il «suo film», allora, facciamo un libro. L’ennesimo? La «pellicola» in questione è quella che Federico Fellini non impressionò mai: «Il viaggio di G. Mastorna» ovvero «La dolce morte». Favola inverosimile, progetto astratto e irrealizzabile. Il nuovo tentativo di rileggere l’opera, ripetutamente definita come «il più famoso film su carta della storia del cinema», arriva con l’inaugurazione della collana «Compagnia extra», per le edizioni Quodlibet di Macerata. E si tratta di una pubblicazione che contiene un passaggio inedito, ovvero la trascrizione della sceneggiatura in forma di narrazione continua. Un processo che è avvenuto «senza toccare una sola parola ed eliminando soltanto l’apparato tecnico», come sottolinea Ermanno Cavazzoni, curatore del volume. Lo stesso fu autore del celebre «Poema dei lunatici» che ispirò l’ultimo Fellini. E, dunque, dei viaggi onirici del Maestro ne sa qualcosa. Nel «Mastorna», Fellini spinge all’estremo la sua poetica visionaria: come dire che la narrazione nasce e si sviluppa come gioco impossibile da mostrare. E siccome anche i profani sanno che la scrittura scenica fa testo a sé, viene da domandarsi se il regista non abbia voluto, in fondo, cimentarsi anche con il genere «letteratura». Nel senso più anti-cinematografico del termine. Poiché questo «romanzo» si lascia leggere tutto d’un fiato. E quei famosi «tecnicismi», che ne avrebbero dovuto consentire la trasposizioni filmica, sono gli stessi che, in realtà, hanno sempre impedito di «chiudere» il film. Una storia che fu anche un fumetto, opera di Milo Manara, ma che non poté mai diventare cinema. Se non chiudendo gli occhi e lasciandosi travolgere dai rimandi e dalle interconnessioni mentali, di un fervido e luminoso genio fantastico tra le onde dell’assurdo. Un mondo di sogni allucinati che diviene il testamento-sfida dell’uomo che riuscì a costruire l’impareggiabile arte dell’equilibrio perfetto tra vero e falso. Sogno o son desto? Da cantore junghiano dell’onirico, Fellini sembrò conoscere bene i limiti del suo esperimento. Alla luce di alcune dichiarazioni, emerge, quella pragmatica consapevolezza che spinge a «non buttare via niente», prerogativa esclusiva dei talenti creativi. Fellini, si può dire, «usò» il «Mastorna» come un serbatoio. Dal momento della prima stesura, era il 1965 e vi collaborarono Brunello Rondi e Dino Buzzati, la sceneggiatura servì da laboratorio per sviluppare idee, che poi sarebbero ritornate nelle opere successive. Un «block notes» interattivo, plasmato a guisa di favola assurda e terrificante che irradia dislessiche sequenze, disintegrandosi ogni volta. Per questo «irrealizzabile», poiché «già realizzato»; carico di tutti quei temi che sono l’opera del cantore d’immagini riminese. La memoria, la caricatura, l’autobiografia. Il tentativo manifesto di spiegare l’orrore del contemporaneo, attraverso la lente deformante delle proprie ossessioni personali. 
 
Fellini, l’aldilà e il ritorno del sogno Paolo Di Stefano «Corriere della Sera» 15-04-2008
Nel “Viaggio di Mastorna” un mondo alternativo alla quotidianità
Finalmente possiamo leggere come un romanzo Il viaggio di G. Mostorna di Federico Fellini (editore Quodlibet), sceneggiatura dl un famoso film che non esiste, perché non fu mai realizzato. La storia è presto detta: un aereo in volo è costretto a un atterraggio di fortuna in un luogo imprecisato; i passeggeri, tra cui li violoncellista Giuseppe Mastorna, credono di essere salvi, invece sono morti e faranno fatica a capire che quella strana città piena dl chiese e l’hotel che li ospita si trovano esattamente nell’aldilà, nonostante le apparenze un po’ squallide del paesaggio. In un momento dl disperata lucidità, Mastorna esclama: «E’ questo il regno di Dio? Non è possibile! (…) non è possibile che la morte sia questa!”. A leggere la bella postfazione dl Ermanno Cavazzoni al Viaggio di Fellini (introdotto da Vincenzo Mollica), viene un po’ di nostalgia per quei romanzi che raccontavano un altro mondo (l’aldilà o la follia), alternativo allo stato delle cose in cui viviamo (o tentiamo di vivere) la nostra quotidianità. Siamo infatti accompagnati in sottofondo da un gigantesco racconto iperrealistico, ma come ha scritto sabato su Tuttolibri Andrea Cortellessa, tutti questi reportage che pensano dl restituirci il mondo e la società, finiscono spesso per fotografare un paese che non c’è, una realtà virtuale, finta, inautentica, nostalgica; e in opposizione a questo «mare dell’oggettività» (come lo definiva un tempo Calvino) il sentimento più efficace rimane la vecchia indignazione. Cavazzoni passa in rassegna alcuni «purgatori» letterari del Novecento, un secolo in cui «si incomincia a vivere, come se non si morisse, una vita tutta al presente, perché all’inferno, per caso ci fosse, ci si penserà poi; e il paradiso invece meglio anticiparlo qui in terra, potendolo, ad esempio in qualche isola corallina del Sud Pacifico, per le due settimane di ferie ogni anno». Resta un «medio regno» privo di trascendenza e in penombra, un purgatorio in cui vaghiamo senza meta e in cui approdiamo senza rendercene ben conto. L’esempio massimo di questo passaggio indolore in un altro mondo purgatoriale è Il processo di Kafka, dove «non c’è quella netta distinzione tra un prima e un dopo (tra la vita e la morte)»: perché nell’aldilà ci siamo già immersi, ci viviamo già, è un purgatorio a portata di mano. A testimoniarlo ci sono anche diversi romanzi italiani – comici, barocchi, tragici, allegorici – usciti tra gli Anni 60 e ‘70: per esempio, Il serpente di Luigi Malerba, Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli, Le stelle fredde di Guido Piovene. Ai quali si potrebbero aggiungere, oltre al Mastorna di Fellini, i «mondi alternativi» di Guido Morselli (Dissipatio H.G.) e alcuni racconti stralunati e paradossali dello stesso Cavazzoni: compreso quel Poema dei lunatici che piacque tanto al grande regista. Resta il fatto che negli ultimi tempi non ci sono opere significative che raccontino un’altra dimensione. Eppure è un tipo di letteratura che appartiene al Dna italiano (se, oltre a Dante, Ariosto e Boiardo dicono ancora qualcosa) e che ultimamente è rimasto sommerso dall’alta marea dell’oggettività. Ma per fortuna se ne vedono all’orizzonte i segni di un ritorno.
 
Il film mai girato da Fellini faceva iniziare la vita dal suo vero inizio Mariarosa Mancuso «Il Foglio» 09-04-2008
Scrive un regista a un produttore: “Gli ambienti principali possono essere: aeroporti, stazioni ferroviarie, metropolitane, porti di mare, strade di città modernissime e molto antiche, distese paludose, il mare, i quartieri di Roma, New York, Amsterdam, Berlino, il Vaticano, paesetti laziali, Venezia”. Parole (e location) che fanno immaginare budget stratosferici, gravati da tutte le complicanze che solitamente accompagnano la lavorazione di un film. Come se non bastasse, il regista confessa di non avere ancora le idee chiare sul finale. La lettera, firmata da Federico Fellini e indirizzata a Dino De Laurentiis, riguarda il celebre film mai girato, del cinema italiano e non solo: “II viaggio di G. Mastorna”. La sceneggiatura risale al 1965, il regista sognò di fare il film per quasi trent’anni, ci fu una guerra giudiziaria con relativo sequestro di beni, alla fine la superstizione ci mise il suo zampino: il film parla dell’aldilà, se dopo molti tentativi non riesce ad arrivare sugli schermi, meglio non sfidare la sorte. Il violoncellista G. Mastorna – precipita con l’aereo in un luogo imprecisato, per ritrovarsi in un mondo che somiglia tanto al nostro, non fosse che sono tutti già morti, e per divertirsi si buttano giù dalle finestre come in una gara di tuffi, tanto si muore una volta soltanto – esiste solo in un fumetto di Milo Manara, in un documentario girato da Fellini medesimo per una TV americana, e nella sceneggiatura originale (Fellini in collaborazione con Dino Buzzati e Brunello Rondi) ora pubblicata da Quodlibet, a cura di Ermanno Cavazzoni.
Come tutti gli scritti sull’aldilà, anche “Il viaggio di G. Mastorna” parla dell’aldiquà. E’ un monumentale “appunto per il dopo” che disegna un Inferno – o un Purgatorio, su questo non c’è accordo – completo di tutto. Anche di salette cinematografiche. La programmazione è un pochino limitata, almeno per i nostri gusti. “Cosa danno?” chiede uno spettatore. G. Mastorna risponde “La mia vita”. Il film è muto, un pianista avventizio si offre di accompagnare le immagini: “La musica aiuta sempre, lei lo sa meglio di me, è una gran ruffiana”. Parte la musichetta, il proiezionista dà il via allo spettacolo: “Un mitragliamento, una pioggia di immagini così veloci che non si possono afferrare. Un brulichìo informe che stenta di prendere corpo. Una danza luminosa di cerchietti che ruotano vorticosamente”. Ohibò, vuoi vedere che il film  della vita di G. Mastorna è una robaccia sperimentale? Neanche per idea: è che il film della vita di G. Mastorna non comincia con la nascita, ma nove mesi prima (proprio come la petulanza di Tristram Shandy, testimone dell’intempestiva domanda che sua madre rivolse a suo padre nell’atto del concepimento: “Caro, ti sei ricordato di caricare la pendola?”, copyright reverendo Laurence Sterne). Siccome l’interessato è un po’ tonto, uno spettatore più sgamato illustra: “Il suo organismo in formazione, il sistema sanguigno, i suoi primi fasci nervosi, i suoi arti in via di crescenza”. In platea siedono sette o otto persone variamente legate a G. Mastorna (per l’attore, Fellini aveva pensato a Marcello Mastroianni, Steve McQueen, Paul Newman, Laurence Olivier, Ugo Tognazzi): il suo colonnello, il suo insegnante di religione, il suo professore al conservatorio, e due signorine. Anzi, fellinianamente: “Due vistose mignottone, ossigenatissime e truccatissime”. Quando la danza dei puntini luminosi si fissa, e l’immagine comincia a somigliare ad un bambino, le signorine si sdilinquiscono in coro: “Carino, guardalo, già si riconosce! Tiene i pugnetti chiusi!”.