IL MIO PRIMO MAESTRO (C. PEROTTI – LA TREMENDA LEGGE- prima parte)

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Carla Perotti (Torino, il 27 luglio 1929) Ha praticato e insegnato yoga per oltre 60 anni, dal 1958, anno in cui ha fondato a Torino Sadhana, uno dei primi centri yoga della città, e l’Associazione Culturale Italo-Indiana, allieva di Giorgio Dharmarama e poi di Jean Klein, che ha seguito per 40 anni in tutta l’Europa. era pubblicista: ha lavorato 16 anni alla Gazzetta del Popolo, poi a La Via del Piemonte di Adriano Olivetti, Urbanistica, Nord e Sud, Paese Sera.   Nel 1958 ha fondato a Torino l’Associazione Culturale Italo-Indiana, per diffondere la conoscenza della cultura indiana attraverso conferenze, dibattiti, spettacoli musicali. Ha scritto una commedia, che è stata tradotta in serbo ed è stata sei mesi in scena al teatro nazionale di Belgrado. È tra i soci fondatori dell’Associazione per una guarigione consapevole, alla quale appartengono medici e psicologi.

Carla Perotti è autrice di alcuni libri sullo yoga, nei quali ha esplorato le radici della sofferenza e ha approfondito la relazione tra disagio psicologico e malattia, anche su se stessa, gestendo il cancro e la chemioterapia in occasione di un linfoma. Tra i suoi libri pubblicati: Lettere a un ragazzo drogato, I giorni del drago, Amarsi e guarire, Il tuo corpo, Lungo le rive del tempo (con De Agostini); Oltre i 50 (Rizzoli Sperling); Nel giardino della guarigione (Primalpe, poi Psiche); Gli ideogrammi del benessere (Promolibri); I miei maestri, Gustavo Rol, il mio primo maestro (Psiche); Essere Yoga (Serra Tarantola); Anime nomadiI portatori di Luce con fotografie di Enrica Bortolazzi; Calendario dei bambini tibetani, La giostra celeste (Lindau, Età dell’Acquario). Per dieci anni ha organizzato vicino a Piacenza una manifestazione dedicata a “I libri degli amici”, alla quale partecipavano alcune centinaia di lettori.

In un unico libro “Il mio Primo maestro”, Carla Perotti, oltre che una visione quotidiana di Rol nella fede, nell’intimità, nel cuore, ci ha fornito con la sua pubblicazione delle importanti conferme sia su temi “nevralgici” della sua filosofia, sia spunti differenti dal solito che arricchiscono e non lasciano nessun dubbio alcuno sui concetti ascoltati e riportati fedelmente da alcuni autori.

Tratto da “Gustavo Rol, il mio primo maestro”

Gustavo fu dunque il mio primo maestro, Fu lui a deporre dentro di me il primo seme dell’ “al­tro mondo”, come lo definiva traghettandomi oltre l’ovvietà delle cose concrete.

A sei anni sapevo ormai che si possono leggere i libri chiusi, che si può dipingere secondo lo stile di un pittore defunto come se fossero i suoi pennelli ad agitarsi sulla tela. Era chiaro che esi­stevano due mondi; inoltre sino a tre, quattro anni il bambino lo “sa”, perché la sua intelligenza non è di natura mentale. Il suo ego è ancora libero e fluttuante, nulla ha esistenza reale, la sua mente non è personale ma risulta dall’intreccio delle infinite menti spar­se nell’universo. Questo, forse, è ciò che accade al “risvegliato” dopo la lunga sofferenza della separazione, quando il suo ego è andato in briciole ed è divenuto simile a un lago di cera disciolta. Avasa, un maestro dell’advaita-vedanta che ho avuto la fortu­na di incontrare ancora di recente, diceva che il bambino non pos­siede il senso del “fare le cose” ma agisce attraverso la visione in­teriore della propria natura. Sarà più tardi l’educazione ad inca­strarlo con il meccanismo premio-castigo, a proporgli l’identifica­zione con l’immagine di un ego che si è allontanato dal suo vero Sé.

Lo Spirito intelligente del quale Gustavo cominciò a parlarmi quando ebbi dieci anni, costituiva una proposta di saggezza, rap­presentava forse la vibrazione con la quale avrei potuto colmare il divario tra il mio ego e il Sé. Penso che poche persone abbiano intuito il valore spirituale di quest’uomo, la cui iconografia lo ha spesso ridotto a un mago, a un cartomante mediatico festeggiato dalle folle. Gustavo aveva una fede profonda, priva di misure dogmatiche, per quanto la sua educazione cattolica lo conducesse con garbo, e talvolta con ironia, ad accettare l’idea del peccato.

Gustavo non considerava la sofferenza della malattia come una possibile compensazione, ma attribuiva un grande valore alle azioni buone, a ciò che possiamo fare per i nostri fratelli. Qualche volta citava il Vangelo, o un passo della Bibbia, “Cara Cicina — così mi chiamavano a quell’età — ri­corda sempre di seminare, allora potrai raccogliere …”. E andava per me a cercare una conferma in Matteo o in Giovanni.

L’intelligenza razionale è una bellissima cosa, ma è la sapien­za del cuore a farci crescere interiormente. Gustavo diceva che lo Spirito intelligente non abita il cervello, ma il cuore. Mi spiegava che il sistema animale non è un sistema chiuso, che un pesciolino e un gambero possono condividere un buco nella sabbia e avvi­sarsi a vicenda di un pericolo. Diceva che gli esseri umani do­vrebbero comportarsi come loro.

al Caffè Fiorio, ci guardammo negli occhi sorridendo e lui entrò in scena come se conoscesse perfettamente tutta la storia del mio cammino. Nascose una delle mie mani tra le sue e disse: “Una notte sognai di essere una farfalla che volava felice della propria sorte. Poi mi destai, ero il saggio Tchouang Tseu, ma non sapevo se ero il filosofo Tchouang Tseu che ricordava di avere sognato di essere una farfalla, o se ero una farfalla che in questo momento sognava di essere il filosofo Tchouang Tseu”…

Come sapere se il sogno ci appartiene e possiamo dire “ho so­gnato”, o se noi apparteniamo al sogno, se siamo noi ad essere so­gnati? Dissi a Gustavo che tutto questo mondo, tutto ciò che per­cepiamo allo stato di veglia, è il sogno del Brahman. Nulla è mai nato, dice l’Upanishad. Bevemmo una cioccolata calda e pastosa, ridendo, senza sapere chi eravamo. Disse che nessuno, in fondo, aveva compreso chi fosse, tutti lo travestivano da mago o da sen­sitivo, ma sperava che un giorno o l’altro, forse dopo la sua morte, qualcuno sarebbe riuscito a spiegare il vero significato dei fe­nomeni che produceva.

“Alla fine della vita vorrei poter lasciare una dottrina che faccia da specchio allo spirito di una persona. Tutti devono poter entrare in questa dimensione. Su questo piano la persona sarà libera da ogni sofferenza, vedrà i propri problemi come movimenti del divino … “.

…………..

Cosa dire nelle parti successive sarà ancora più’ interessante….ma già in questa prima parte apprendiamo attraverso le parole di Carla Perotti che Gustavo Rol che :

  1. L’intelligenza di Rol non è mentale e la mente era universale, non intesa come cultura ma come mente libera dalla coscienza personale, senza tempo e senza spazio, un mondo non prigioniero della personalità, traducendolo e portandolo a termini a noi noti: “una grondaia”
  2. che la condizione precedente era la condizione di un “risvegliato”, con l’ego personale che va in frantumi
  3. la profonda fede, non dogmatica e sempre legata ai vangeli, la bibbia.
  4. lo Spirito intelligente non abita il cervello, ma il cuore.
  5. la consapevolezza che non sarebbe stato compreso e che confidava nella possibilità che qualcuno dopo la sua morte potesse cogliere la sua eredità almeno sul piano “dottrinale” per spiegare il vero significato degli esperimenti, ricordate? “non è importante l’esperimento in sé ma le possibilità che ci offre…” 
  6. Il grande desiderio di lasciare una dottrina che a quanto specifica, sembrerebbe essere più una guida spirituale, uno specchio per l’individuo, per il suo spirito, accessibile a tutti e di aiuto per comprendere che la malattia e le altre prove sono “movimenti del Divino” e che per gli uomini potrebbe essere una rivelazione per vivere meglio il quotidiano.