TREMENDA LEGGE (seconda parte)

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ORIGINI DELLA SCOPERTA : IL POLACCO E ALTRI MAESTRI (?), BILLIA, PADRE RIGHINI ED IL MAESTRO TIBETANO

LA VERSIONE DI PITIGRILLI E LE ORIGINI: Il POLACCO

 

Il mio amico Gustavo Rol, al quale dedico molte pagine, in una comunicazione ultrafanica scrisse, sotto dettatura di non so quale spirito (gli spiriti non presentano la carta d’identità, e quando di­cono il nome, generalmente è falso), scrisse queste parole: « Noi dobbiamo lasciare all’umanità sofferente la speranza eterna che in questi terribili fenomeni ci sia della mistificazione ». Il sospetto della mistificazione è incancellabile. Credo che solamente io, il fratello di Rol, ingegnere elettrotecnico Carlo Rol, residente in Buenos Aires, e pochi altri, abbiamo raggiunto la certezza di non essere stati mistificati. Molti anni or sono parlai delle esperienze di Gustavo Rol a Ettore della Giovanna. Questo brillante scrittore, oggi corrispondente da Nuova York di un grande quotidiano dì Roma, allora era laureando in medicina. Era cioè un giovane che per la sua formazione scientifica sapeva osservare un fenomeno; nei laboratori si era abituato a non vedere la luna nel pozzo. Vorrei trascrivere l’opinione di Rol, ma non siamo riusciti a carpirgliela né io né suo fratello, cervello fisico-matematico, i due uomini che lo hanno studiato più da vicino e forse gli hanno ru­bato frazioni di verità. Ma sono poi frazioni di verità quelle che si è lasciato sfuggire, o inquietanti apparenze con le quali maschera un’altra verità che egli non è autorizzato a rivelare?

 

– È andata così: a Marsiglia prendevo i pasti in una pensione di famiglia, dove era mio vicino di tavola un signore taciturno, che non rivolgeva la parola a nes­suno, non rispondeva, salutava appena; leggeva giornali e libri polacchi e non si sapeva che mestiere facesse. Un bicchiere rovesciato mi diede l’occasione di dirgli finalmente qualche parola. Uscimmo insieme. Gli parlai delle mie letture di contenuto spirituale, religioso. Rise: «Dio non esiste», mi disse; e mi domandò se io ammettevo che con la volontà si potessero immobilizzare le lancette dell’orologio. Eravamo sulla Canebière. «Che ora segna? — e mi indicò l’orologio lumi­noso della Borsa -«Le nove e un quarto».« Io lo fer­mo». E l’orologio si arrestò. (Parentesi. Quando raccontai questo fatto al dott. Bonabitacola, mi disse che il mago Kremmerz con un atto di volontà staccò una ruota di una carrozza in piena via Toledo, a Napoli). – Tornati a casa – continuò Rol- mi fece assistere ad alcuni esperimenti per mezzo delle carte. Mi insegnò qualche cosa, ciò che io sto insegnando a te. Mi disse a quali esercizi ci si deve sottomettere, in quale stato d’animo ci si deve collocare. Mi insegnò a riconoscere, col semplice passaggio delle mani, il colore di tutto un mazzo di carte rovesciate. Mi disse le più elementari formule (Rol non parla di formule magiche; le parole mago e magia non escono mai dalla sua bocca) per gli esperimenti più semplici. Un giorno, per allon­tanarmi dalla fede (Rol è profondamente credente) il polacco mi condusse a Lourdes, che mi aveva dipinto come un’organizzata mistificazione, ma una guarigione avvenuta sotto i nostri occhi lo fece cadere in ginoc­chio: « Io credo, io credo», gridò. Tornammo a Marsi­glia, bruciò i libri e i manoscritti, mi espresse il suo rincrescimento per avermi insegnato appena qualche cosa senza spiegarmene il senso, e mi disse che il di più lo avrei imparato da me. Si ritirò in un monastero della Savoia, come fratello laico, e quando andai a tro­varlo, nel congedarmi mi disse di non cercarlo più, perché oramai i fenomeni ai quali mi aveva iniziato appar­tenevano a un mondo lontano. Più tardi venni a sapere che era morto. Il misterioso personaggio riapparve molte vòlte nelle parole di Rol. Lo chiamava« lui».« Credo – mi diceva Rol – che «egli» abbia della simpatia per te. «Egli» non vuole che io faccia questo. Mi autorizza a insegnarti questo. Ricordati della «sua» raccomandazione: immaginare un piano tutto verde, come un prato senza al­beri, senza particolari che turbino l’uniformità del verde; immagina di essere sommerso in un’immensità di vernice verde. Tu vuoi che tutte le carte di questo mazzo si dispongano in un certo ordine? Chiedilo men­talmente e poi immagina il verde; nel momento in cui tu “vedi” il verde, la trasformazione è avvenuta». Una sera mi disse: «Quest’oggi mi ha dettato queste parole per te: “Non c’è successo senza lavoro, non c’è lavoro senza sofferenza, non c’è sofferenza senza verde” ». Un’altra volta Rol mi disse: « Voglio che tu erediti da me le mie facoltà, e che se un giorno io non ci sarò più, che “egli” trasmetta a te tutto ciò che trasmetterebbe ancora a me». Dichiaro senz’altro che çome apprendista non valgo niente. Quando ero assistito da Rol ho fatto an­ch’io delle cose spettacolose, ma da solo nulla mi riuscì. Non riuscii mai a« vedere» un verde uniforme. Le for­mule ripetute in presenza di Rol e davanti a testimoni mi fecero realizzare dei prodigi. Ma quando ero solo, in casa mia, il risultato fu totalmente negativo. Ho pro­vato in varie circostanze a ripetere le formule, senza risultato. Il monosillabo « om » col quale certi antichi ebrei facevano cadere fulminato un uomo, e la parola « abraxas » che allontana gli spiriti del male, non sono che elementi di un complesso di potenze. Le formule di Rol, senza Rol lasciano le cose come sono. (Gusto per il mistero)
Nessuno di coloro che hanno scritto tra il 1952 e il 2005 (quando è uscito il libro di Pincherle) ha mai parlato del Polacco: Buzzati, Riccardi, Inardi, Biondi, Serafini, Lugli, Jorio, Gervaso, Bazzoli, Fellini, Giovetti, Dembech non hanno scritto una sola riga su questa storia. E quei pochi che l’hanno fatto, in anni più recenti, si sono limitati a citare Pitigrilli. Un’eccezione ci sarebbe, anche se molto blanda e atta a confermare piuttosto quanto stiamo dicendo. Nella sua biografia su Rol del 1996, riferendosi all’incontro avuto con lui nel 1972, Giorgio di Simone scriveva: «Nel lungo colloquio che avemmo in quella casa, dove aleggiava indiscutibilmente un tranquillo mistero, Gustavo mi parlò anche del suo Maestro. Me ne fece soltanto un cenno, probabilmente perché l’argomento era molto delicato e toccava l’intimo della sua persona e del suo vissuto “magico”. Tra le altre poche cose accennate, disse che un giorno, quando viveva e lavorava a Marsiglia, una persona che stava accanto a lui, seduta su di una panchina in una piazza (la persona che verosimilmente divenne poi il suo Maestro), gli indicò il grande orologio che troneggiava su di un edificio, di fronte a loro: stupefatto, Rol vide le lancette di quell’orologio muoversi, cambiando l’ora sul suo quadrante!». A prima vista, sembrerebbe che Di Simone si riferisse effettivamente alla storia raccontata da Pitigrilli, anche se si può senz’altro affermare che sia stato Rol a raccontargliela direttamente, se non altro perché vi si trovano degli elementi che nel racconto di Pitigrilli non ci sono, nella fattispecie la frase «una persona che stava accanto a lui, seduta su di una panchina in una piazza», che si collega a una terza versione degli inizi di Rol che vedremo più avanti. Inoltre crediamo che il “Maestro” a cui egli faceva riferimento con Di Simone non abbia a che vedere, quantomeno da un punto di vista “storico”, con il “Polacco” di Marsiglia, ma piuttosto con un professore universitario, un certo Lorenzo Michelangelo Billia, libero docente di filosofia morale e filosofia teorica presso la Facoltà di Filosofia e Filologia di Firenze e autore di numerose pubblicazioni. Billia aveva insegnato anche all’Università di Torino e Rol deve avere trovato nella sua persona e nei suoi scritti una guida da seguire, come si evince da una lettera al padre del 7 settembre 1926: «…ho aggiunto un capitolo al libro che ho incominciato a scrivere due anni or sono sotto sai io posseggo di quell’uomo tutta la forza del pensiero e il mistero delle sue concezioni che non ha potuto far conoscere al mondo». Vi fa riferimento anche in una lettera del 4 febbraio 1929: «Da quando il mio Maestro è morto, io ho compreso quanto fosse difficile proclamare la propria “non discendenza da colonia punica” e mi sono attaccato al “bastone del satrapo sofista” come a quell’unico appoggio per la mia indipendenza spirituale lungo le strade del mondo» la guida del povero Michelangiolo Billia. Quanto invece al «vecchio abate» e al monastero, che pur ha a che vedere con quanto detto dal prof. Giordano, si tratta principalmente di una vicenda che Rol aveva ripetuta in più occasioni, senza tuttavia che chi scrivesse di lui ne desse un qualche particolare: l’unico elemento noto era che Rol era stato in un convento per tre mesi e che poi sua madre lo convinse a uscirne. Ancora nel 2005 Giuditta Dembech  scriveva che dopo la  scoperta del 1927: «Qualcosa di veramente impressionante si era aperto dinanzi alla sua coscienza. Sconvolto, tornò in Italia dove si rifugiò per lungo tempo in convento. Di quel periodo di riflessione non sono trapelate che pochissime notizie. Sua madre, a cui era legatissimo, lo aiutò a comprendere e ad accettare la nuova condizione». Sempre la Dembech più avanti aggiunge: «Rol mi ha raccontato di avere trascorso un lungo periodo di meditazione, qualche fonte dice che si ritirò in convento, ma non ricordo che mi abbia detto una cosa del genere. Su questo periodo tormentato della sua vita non è sceso mai nei dettagli, non ha mai voluto approfondire, almeno non con me». La fonte cui hanno attinto sia Allegri che la Dembech è Remo Lugli, che nel suo primo articolo su Rol per La Stampa scriveva (era il 1972): «È dal 1927 che ha scoperto queste sue facoltà. “Fu – dice – una sorpresa terribile. Mi rifugiai in un convento a meditare e vi rimasi tre mesi. Mi venne a tirar fuori mia madre dicendomi che dovevo sfruttare queste possibilità per far del bene al prossimo”». Noi sappiamo, sia perché ci era stato detto, sia perché abbiamo un brano audio dove Rol lo dice, che il “convento” in questione è Villa Santa Croce, una casa di ritiro spirituale che si trova sulle colline a ridosso di Torino vicino a San Mauro, fondata nel 1914 dai gesuiti, sotto la direzione di Padre Pietro Righini, ed è proprio questo sacerdote, da un punto di vista storico, che può essere identificato con il «vecchio abate» di cui parla Allegri. Rol aveva scelto Villa Santa Croce perché era un luogo che già conosceva bene, per avervi passato alcuni brevi periodi di ritiro spirituale negli anni precedenti il 1927. La «crisi mistica» sopravvenuta in seguito non fu quindi un fulmine a ciel sereno, ma aveva alle spalle anni di riflessioni e di preghiera. Rol, come detto, si ritirò a Villa Santa Croce per tre mesi, come fratello laico, e precisamente dal febbraio al maggio 1928, cosa che si evince da una nota tratta dall’Archivio della Banca Commerciale Italiana dove in questo periodo risulta una licenza per malattia, nello specifico per «esaurimento nervoso». Trovò ad accoglierlo Padre Pietro Righini, che si prodigò nel sostenerlo e si adoperò perché seguisse un percorso di esercizi spirituali, quelli che Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia del Gesù, aveva stabilito nel XVI secolo. Rol fu talmente grato all’«abate» che nella registrazione che abbiamo lo definisce esplicitamente «un santo». (pag.382-383)
Da quanto si è detto finora, quindi, oltre ai quattro maestri simbolici, emergerebbero quattro possibili maestri in carne ed ossa: il “Polacco” di Marsiglia, il prof. Michelangelo Billia, Padre Pietro Righini, e un Maestro indiano o tibetano di cui non è dato conoscere il nome. A costoro debbono poi aggiungersi quelli che possono essere considerati i maestri ideali di Rol, come per esempio Victor Hugo del quale nel 1926 scriveva che «le concezioni di quel genio io sento che sono le mie», e poi Goethe, Dante, Shakespeare, Leonardo, Mozart, Beethoven, Baudelaire, Platone, Newton, Einstein, Gandhi, Gesù, Siddharta.… Quanto al Tibet, l’unico testimone che ne parla (a parte i nostri impliciti riferimenti sui nostri siti e poi in articoli) è il prof. Luigi Giordano; durante la trasmissione televisiva dedicata a Rol sull’emittente piemontese Telestudio (26 maggio 2004), alla quale fu invitato, il  conduttore gli aveva chiesto: «È possibile dire che, a modo suo, Rol ha intuito l’essenza filosofica, spirituale della vita…?». E Giordano aveva risposto: «Certo che Rol aveva tutta una sua filosofia. E questa filosofia, indubbiamente, l’aveva maturata dopo tanti e tanti anni. Lui era stato nel Tibet, era stato in parecchi monasteri. E aveva scoperto delle cose che poi non ci ha mai rivelato. Comunque all’essenza delle sue sperimentazioni c’è questa filosofia che lui aveva imparata in questi luoghi che lui  aveva visitato, in questi monasteri dove lui era stato. Però più di tanto lui non c’ha mai detto». (pag.380)
N.B IL LIBRO DI MARIO PINCHERLE RACCONTA UNA VERSIONE ROMANZATA DELL’INCONTRO DI ROL CON IL “POLACCO” A CUI DIEDE ANCHE UN NOME FANTASIOSO : Klernens Rej (NOME FANTASIOSO, TOTALMENTE INVENTATO)