POSSIBILITA’: TELECINESI (PENNELLI)

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Telecinesi di pennelli

Remo Lugli

«Posseggo due dipinti ad olio di Francois Auguste Ravier, pittore francese morto nel 1895, ottenuti a casa mia. La sera di quell’esperimento Rol fece firmare ai presenti, sul retro, una tavoletta che poi pose su un cavalletto coi colori vicino. Egli se ne allontanò rimanendo a un paio di metri di distanza. Quale impressione nel vedere i pennelli muoversi da soli! Ci aspettavamo un dipinto e invece, dopo pochi minuti, ne trovammo quattro: la tavoletta era stata dipinta esattamente in quattro parti, raffiguranti quattro soggetti diversi che corrispondevano ai temi espressi da quattro persone del gruppo».

bis : «Sera del 20 ottobre 1974, in casa Lugli, presenti Remo, Else e Bettina, la dottoressa Rita Jacob, pediatra, Giorgio e Nuccia Visca.

Rol sembra ben disposto per fare uno dei rari esperimenti di pittura al buio: ha portato con sé i colori, i pennelli, un cartoncino telato di cm. 34 x 24 e una piccola tavolozza. L’intenzione è evidente, a giudicare dal necessario di cui si è munito, e noi siamo in agitazione, ma cerchiamo di contenerla; se ne parlassimo lui si riterrebbe obbligato a fare un dipinto e invece sappiamo che non vuole mai essere costretto a compiere qualcosa, bensì sentirsi libero di agire secondo gli impulsi momentanei. A quell’epoca la sua pittura al buio segue la tecnica classica, con cavalletto, o un supporto che lo sostituisca, pennelli e spatola. (Più avanti nel tempo farà le pitture un po’ più di frequente, usando però un altro sistema: colori a tempera e non a olio, lasciati nei tubetti o spremuti su un piattino, posti a fianco di una bacinella d’acqua e un foglio di carta piegato in quattro o otto, che poi a un certo momento viene gettato nell’acqua).

Dopo parecchi esperimenti con le carte Rol chiede di disporre una sedia isolata nella sala, tra la zona pranzo e il soggiorno. Dunque, farà la pittura! Ci mostra il cartoncino che è intonso e ce lo fa firmare sul retro, poi lo posa sul sedile, verticale, con appoggio alla spalliera. Su un’altra sedia depone la tavolozza, i tubetti a olio, alcuni pennelli di diverse misure e una spatola metallica. Sul fondo della sala, dalla parte opposta del tavolo, c’è il camino acceso. Fa spegnere le luci, ma trova che l’ambiente è ancora troppo illuminato dal chiarore della fiamma e mi prega di ridurre il fuoco coprendolo con un poco di cenere; senza soffocarlo, si raccomanda, perché un poco di luce deve restare. Eseguo. A luci spente restiamo in raccoglimento, aspettando. Rol ci prega di soffregare le mani e pronuncia il nome di Francois Auguste Ravier. Gli chiede di intervenire, se gli è possibile. Restiamo in attesa. (…). Gustavo dunque chiama lo “spirito intelligente” di Ravier che, secondo la sua teoria, è rimasto sulla Terra e può ancora operare, fare cioè cose già eseguite, senza creare nulla di nuovo. (Rol era solito dire, a proposito di Ravier, che non lo aveva cercato lui, la prima volta era venuto di sua spontanea volontà, forse per una affinità artistica). Gustavo ripete la richiesta, con un tono di voce normalissimo, colloquiale, pregando noi, nel contempo, di continuare a fregare le mani, rumore che poi alterniamo, sempre su suo invito, con lo stropiccio dei fogli di cui disponiamo. A un certo punto ci fa fermare e chiede la luce. Sul foglio che ha davanti Rol ha scritto in scrittura automatica, a matita, con grafia sua: “je suis ici avec vous F.A. Ravier” e l’elenco dei colori che avrebbe usato. Rol invita ogni signora a suggerire un soggetto che sia aderente alle caratteristiche della pittura del pittore francese rammentando che era solito dipingere brughiere, stagni, alberi spogli nell’autunno. “Perciò non chiediamo fiori perché non ne ha mai dipinti”. Vengono avanzate le richieste che si attengono a queste indicazioni. Dice Rol: “Vedremo quale sceglierà. Poi il dipinto lo sorteggeremo”. C’è grande aspettativa nel gruppo e anche gioia perché Rol, accennando al sorteggio, ha già assicurato che non distruggerà il risultato dell’esperimento.

Ora va a spremere dai tubetti sulla tavolozza piccole porzioni dei colori richiesti: bruno Van Dyck, verde, blu cobalto, giallo, vermiglione. Spegniamo di nuovo e Rol resta in mezzo alla sala, in piedi, a una distanza di oltre un metro dalle sedie. Sul fondo il camino, nonostante la cenere cosparsa sulle braci, manda un po’ di chiarore. Vediamo benissimo la sagoma di Rol. Nel silenzio si incomincia a sentire un fruscio. Cerchiamo di scrutare nel punto dove c’è il cartoncino e vediamo qualcosa muoversi: è un pennello, quasi orizzontale, con la parte posteriore leggermente più alta, come se fosse guidato da una mano. Il pennello si abbassa, scompare, ne sale un altro, poi è la volta della spatola che produce un suono diverso di raschiatura. Rol è sempre distante dall’improvvisato cavalletto, ogni tanto fa qualche passo verso il camino, poi ritorna, supera le sedie, viene verso di noi, torna ancora indietro. Non più in silenzio, adesso canticchia, bisbiglia qualcosa in francese. Sono trascorsi forse quindici minuti da quando i pennelli hanno cominciato a muoversi da soli e Rol dice: “È fatto, possiamo accendere”,

Meraviglia, il cartoncino è tutto dipinto, ma non con un unico soggetto, bensì quattro. II rettangolo è stato diviso in quattro parti uguali, con due linee a matita tracciate a croce, esatte, come tirate con una riga. i i quattro soggetti sono quelli chiesti dalle signore: uno stagno con lo sfondo di colline, un angolo di bosco con un albero spoglio, cespugli di brughiera, colline: la pittura classica di Ravier, sul tono bruno, del tutto simili a dipinti che si trovano anche in gallerie italiane, come la Galleria d’arte moderna di Torino. Controlliamo il retro del cartoncino, ci sono le nostre firme.

Per prima cosa Rol con la matita incide nell’olio fresco, alla base di ogni quadretto, la data, 20 ottobre ’74 e le parole: “Hommage à Ravier” seguite dalla sua sigla G.R, e sull’altro angolo l’anno per esteso 1974; questo per evitare che in futuro vengano spacciati per Ravier autentici. È un risultato stupendo che sorprende, oltretutto, per i quattro soggetti diversi, tosi come sono stati chiesti. Anche Rol si dimostra soddisfatto. Con cautela, senza toccare il colore, taglia il cartone sulle due linee a croce e regala un quadretto a Else, uno a Nuccia, uno alla dottoressa Jacob e il quarto ci prega di consegnarlo a Doretta Innocenti, assente per un impegno. Una serata davvero memorabile».

Giuditta Miscioscia:

«Prendiamo il quadro che Rol ha chiamato Ramo spezzato. Ero a casa sua, con alcune amiche mie. Rol era un po’ triste, credo avesse avuto discussioni con una persona cui era affezionato. Cominciò a parlare della tristezza delle cose che finiscono, dei rapporti che si interrompono, degli amori che svaniscono. Diceva che assomigliano a un ramo spezzato, un ramo che resta quasi come una ferita insanabile nel paesaggio. Prese una tela vergine, incollata su cartoncino. La fece vedere a me e alle altre persone presenti perché potessimo esaminarla e constatare che era vergine. Poi la mise sul cavalletto. Davanti alla tela, su un tavolo inetto, pose la tavolozza dei colori, alcuni pennelli, la spatola, il vasetto con l’acqua, insomma tutto quello che serve ad un pittore. Poi si allontanò e chiese a noi di non muoverci dai nostri posti. Era mezzogiorno, quindi piena luce nella stanza. S’avvicinò alla cucina dove stava preparandosi da mangiare. Scherzava, diceva frasi divertenti, chiedeva se volevamo mangiare anche noi la minestrina. Era dalla parte opposta di dove si trovava il cavalletto con la tela. Noi guardavamo lui e la tela, Io sapevo che stava per accadere qualche cosa di straordinario, e non perdevo d’occhio niente. A un certo momento ecco il prodigio. I pennelli cominciarono a muoversi da soli: si alzavano dalla tavolozza, si intingevano nei colori, nell’acqua, volavano sulla tela, avevano i tipici movimenti come se fossero nelle mani di un artista invisibile. Il lavoro si svolgeva frenetico, si sentiva anche il rumore che facevano i pennelli sulla tela. «Rol rideva e continuava a scherzare. Il fenomeno durò 5, forse 6 minuti. Poi i pennelli tornarono al loro posto, inerti. Il quadro era finito. Rol disse che  potevamo guardarlo bene. Ci alzammo e andammo a vederlo da vicino. I colori erano freschi e la scena rispecchiava il suo ragionamento. In un paesaggio bianco, invernale, si vedono due persone: una giovane donna di spalle che si allontana e lui, l’uomo, che si dirige dalla parte opposta e in mezzo a loro un grosso ramo spezzato che getta un’ombra di tristezza in tutto il quadro. «Quando mi regalò il quadro, Rol scrisse sul retro: “Il ramo spezzato. Proprietà della signora Giuditta Miscioscia alla quale ho donato con queste parole profetiche: `Questa é una cosa che a te non succeder mai, perché tu, solamente tu, rimarrai l’arbitro del tuo destino”».

 Monica Mondo:

«Ho visto un pennello che si muoveva da solo, docile ai desideri del pittore». «Quando tu vedi un quadro, non finito.. .e il pennello si muove da solo…».

Maria Vittoria Trio:

«Un pomeriggio mi accolse con il grembiule da pittore, in quanto stava ultimando una tela raffigurante un vaso di fiori i cui petali cadevano sul tavolino, poi mi invitò a sedermi al suo fianco. Gustavo, infatti, evitava accuratamente di avere di fronte a sé l’ospite di turno, affinché costui non si sentisse condizionato o suggestionato dai suoi occhi penetranti. “C’è qualcosa nel dipinto che non mi convince in pieno. Non credi che quel petalo abbia un’ombra poco reale? Cosa ne dici se facessi una piccola modifica?” “Forse hai ragione”, gli risposi, “anche se non sono la persona pili adatta per dare un giudizio pertinente”. Il cavalletto con il relativo porta pennelli si trovava a circa due metri da noi, a poca distanza dalla finestra. A un certo punto, nella piena luce del sole che illuminava lo studio, vidi il pennello sollevarsi e compiere la modifica cui Gustavo aveva accennato. Ancora adesso, a raccontare quell’episodio, mi vengono i brividi. Eppure sono sempre stata una persona razionale, distaccata e per natura piuttosto diffidente. Ciò che faceva Rol mi raggelava il sangue: dopo aver assistito a fenomeni come quello, non ero assolutamente più in grado di sostenere un discorso. Ascoltavo e basta, rispondevo a monosillabi, rimanevo a lungo scossa, quasi sconvolta da ciò che avevo visto realizzarsi sotto i miei occhi increduli».

Vittoria Storero:

«In un’occasione nella penombra ho scorto nitidamente il pennello muoversi da solo nei pressi della tela, mentre Gustavo se ne stava a tre-quattro metri di distanza…».

Maria Luisa Giordano:

«Spesso forze arcane gli correvano in aiuto, il carboncino e il pennello si mettevano a lavorare da soli. Addirittura poteva accadere che, mentre eravamo in salotto, sentissimo pennelli e carboncino muovere sulla tela. Poi Rol ci portava a vedere il dipinto: era stato modificato o ultimato. Doveva talvolta alzarsi di notte, il letto iniziava ad ondeggiare e allora capiva che doveva alzarsi: le stesse forze ignote, lo spingevano a terminare un quadro per cui, in quel momento aveva difficoltà di esecuzione. E in questi casi avveniva sempre il prodigio: il pennello partiva da solo, oppure la sua mano veniva guidata e il dipinto completato raggiungendo il giusto equilibrio».

Anna Provana di Collegno:

«Gustavo arrivò con tre tele bianche di varie dimensioni, non incorniciate, e  disse: “Scegli quella che vuoi”, e io ne scelsi una. Dopodiché mi disse: “Cosa desideri`?”. Io risposi: “Un paesaggio, possibilmente con dell’acqua”. Disse: “Benone”. Allora mise questa tela su un cavalletto, posò la tavolozza con i colori e i pennelli, si alzò. Questa mia amica ospite disse: “Per favore Gustavo non spenga la luce che abbiamo paura”, e Gustavo si mise a ridere e disse: “No no, non la spengo”, e lasciò una abat-jour accesa, e andò nella stanza vicina. L’altra amica mia che era presente, e che si definiva una scettica, invece ha voluto vedere bene quello che succedeva. Quindi vedeva Rol nell’altra stanza, ma quello che veramente può stupire tutti, lei ha visto benissimo i pennelli che dipingevano, in aria, che si muovevano velocissimi sulla tela, e i pennelli erano due. [Dopo un po’, terminato il dipinto] Rol lo prese lo mise sulla cornice del caminetto, ci sediamo li intorno e lui dice: “Ma guarda che il quadro non è finito” “Come non è finito?” “No no, sta comparendo qualcosa di nuovo”. E difatti è comparsa questa piccola figura che cammina sulla sponda di questo lago. Dopodiché Rol l’ha firmato, ha scritto la sera della seduta, e il quadro intitolato 1’Qmmage a Ravier, perché Rol sosteneva di non fare niente di nuovo, sosteneva che i quadri che lui faceva in questo modo [si realizzavano] perché era riuscito a captare l’energia vitale che tutti noi abbiamo, che quando ce ne andiamo rimane sulla terra, cioè l’energia non si distrugge. Rol era un profondo credente, non si parlava di anima o cose del genere. Lui parlava semplicemente dell’energia vitale che rimaneva sulla terra per un certo periodo. Lui era riuscito a captare l’energia di questo pittore, Ravier, che era il maestro di Fontanesi».

 

Fonte ” l’uomo dell’impossibile” di Franco Rol