DIALOGHI : L’INCONSCIO E SOGNI PREMONITORI

 

 Dialoghi tratti da “Rol mi parla ancora”

L’INCONSCIO

“Ognuno di noi è un iniziato che possiede in sé lo Spirito intelligente, la scintilla della conoscenza, che è la scintilla divina. Non esistono persone prescelte cui è in particolare aperta la via della cono­scenza perché la magia fa parte della vita di ognu­no di noi.

“Per percepire l’invisibile ci vuole l’intuizione. Anche i presentimenti sono delle percezioni, delle vibrazioni, prese dalla corrente universale della vita. Quando si desidera veramente qualcosa con tutto il proprio essere, si scatena una forza dell’u­niverso, forza che tutti posseggono.

“Non è solo l’uomo a possederla, anche un ani­male, un minerale, un vegetale, posseggono lo Spi­rito intelligente, e tutto ciò che è sulla terra non cessa di trasformarsi, perché la terra è un essere vi­vente e anch’essa ha un’anima.

“Noi facciamo parte di essa, anche se non sem­pre ci rendiamo conto che essa lavora sempre a nostro favore. Dobbiamo vivere la parentesi terre­na serenamente, con un rispetto maggiore per la nostra e altrui vita.

“Dobbiamo meritarci e raggiungere la serenità giorno dopo giorno, scuotendoci di dosso i troppi impegni che molte volte sono solo inganni e pre­giudizi con cui vogliamo illuderci di essere creatu­re eccezionali, preziose, irripetibili.

“Lo sai che il cervello dell’uomo lavora anche quando dorme, per la filosofia induista è la coscienza cosmica da cui tutto deriva e a cui tutto si riconduce.

“Il nostro inconscio di notte può lavorare me­glio, non è disturbato dalla frenetica attività della veglia, per lui non ci sono né tempo né spazio, non esiste né passato né avvenire, né è condizionato dalla materia. Per questo motivo può risolverci problemi difficili, farci ricordare cose ormai del tutto dimenticate, aiutarci a ritrovare oggetti smarriti a ispirarci.

“Quanti grandi artisti hanno trovato di notte l’i­spirazione per dei capolavori, non solo, ma anche scienziati e ricercatori, senza magari quasi accor­gersene, hanno saputo trovare la via giusta per la loro ricerca.

 

Sogni premonitori

 

“Senza parlare poi dei sogni premonitori: quante volte capita ai dormienti di sognare un evento che poi accadrà puntualmente nella nostra vita. Me l’a­veva raccontato tuo padre con grande commozio­ne, poi me lo hai raccontato di nuovo tu del tuo so­gno premonitore. “Avevi circa sei anni, c’era la guerra, eravate sfollati a Bardonecchia; il tuo caro papà era in un campo di concentramento in Germania, prigionie­ro dei tedeschi. Una settimana prima di Natale, scrivesti una lettera a Gesù Bambino, me l’hai fat­ta vedere, sulla busta c’è scritto ‘All’Angelo Posti­no — Via del Cielo’. La notte seguente sognasti Gesù Bambino che ti diceva che il tuo desiderio si sa­rebbe avverato. “Passarono i giorni: la vigilia di Natale, siccome non era avvenuto il prodigio ti addormentasti in lacrime, delusa. Il mattino seguente, al tuo risve­glio, trovasti vicino al tuo letto il tuo adorato papà sorridente, chino su di te. “Il miracolo era avvenuto come nelle fiabe a lie­to fine. “Alle 11.30 della notte di Natale un uomo pro­vato dalle fatiche e dalle privazioni della prigionia bussò alla porta di casa. “Trovò la mamma quasi incredula, che gli si buttò fra le braccia, la casa era calda e accogliente, con l’atmosfera natalizia con l’albero di Natale, il presepe, come piaceva a lui, il calore della famiglia e degli affetti. Mentre i suoi bambini dormivano si stava av­verando un sogno profetico, che fece in breve il gi­ro della cittadina.



DIALOGHI: LA MEDITAZIONE E L’INTUIZIONE

 



Dialoghi tratti da “Rol mi parla ancora” :

La meditazione
“Nello stato di coscienza della vita quotidiana, l’uomo è imprigionato nel mondo fisico se desidera per­cepire qualcosa: anche solo per leggere il giornale o ascoltare musica, deve raccogliersi in se stesso.

“Per poter essere più recettivi dobbiamo infatti estraniarci anche solo un po’ dal caos, metterci in uno stato di calma.

E’ vero che ascoltando musica a volte chiudia­mo gli occhi per assaporarla meglio?
“Il nostro cervello possiede una biblioteca enorme, gigantesca di ricordi, di tutti i fatti che ci sono successi nel passato, compresi i ricordi dei nostri antenati.

“Per riuscire a percepire veramente il mondo, dobbiamo ritirarci in noi stessi; solo così, in uno stato di pace interiore, si potrà poi riuscire a vede‑
re tutte le cose in un altro modo, quasi come se le vedessimo per la prima volta.

“Questa chiamiamola meditazione.

“Bisogna all’inizio lasciare andare i pensieri len­tamente alla deriva, come una barca sul fiume; questo svilupperà la nostra percezione, la farà diventare più profonda tanto da farci sembrare tutto più ricco e interessante.

“Diventeremo meno superficiali e potremo go­dere di più delle opere d’arte, la nostra sensibilità sarà acuita. Riusciremo a essere più ottimisti, i no­stri problemi e i nostri affanni ci sembreranno più lontani, come sfumati, avremo inoltre maggiore fi­ducia in noi stessi, ricaricandoci di energia positi­va. Potremo intravedere orizzonti più lontani.”

 
L’intuizione

 

“Cos’è l’intuizione?
“L’intuizione è fulminea, chiara e ci appare come una rivelazione.

“Essa ci arriva come un’idea improvvisa, riusciamo a cogliere al volo il significato, il senso profondo di una frase, a percepire la bellezza di un’opera d’arte, di poesie e di quadri e queste intuizioni possono quasi spaventarci, ci fanno trattenere il respiro.

“L’uomo non può dimenticare la propria vocazione divina, si sente esule sulla terra e anela a sentirsi parte dell’energia cosmica.

“Egli anela all’unicità, a fondersi con il Tutto.
Così dimenticherà le sue paure, le sue insoddisfazioni e i suoi struggimenti.

“Tutto è scritto, e tutto è una sola e unica cosa.

“L’insegnamento della potenza dello Spirito di energie sottili superiori può trovare terreno fertile in persone non necessariamente intellettuali, colte, ma anche in persone semplici, purché sensibili.

“Bisogna lasciare scaturire la propria vera esistenza, lasciarsi andare come bambini.

“E vi sono delle ore luminose nelle quali la grazia può apparire sotto i segni dell’arte, della natura, della bellezza e dell’armonia.”

 




DIALOGHI CON ROL : MORTE -SCIENZA E RELIGIONE

 

Dialoghi tratti da “Rol mi parla ancora” : MORTE

Rol parlava spesso della morte cercando di proporre una visione differente, non macabra, ma evolutiva …non capite male…non certo reincarnazionistica, ma spirituale, volgendo lo sguardo alla sofferenza umana che essa provoca, ma allo stesso tempo attraverso la fede, la speranza, cerca di far comprendere che è una umana condizione, ma non la fine di tutto. Dato che ha consolato e parlato anche della perdita di persone care, soprattutto a chi aveva perso dei figli,  partiamo con questa introduzione…





“I figli devono essere considerati come spiriti. Ogni uomo non deve dimenticare che sono spiriti indipendenti e che hanno scelto quell’ambiente, quel ceto sociale per attuare un proprio programma che è spiritualmente sacro, veramente sacro al di là della falsa sacralità delle cose terrene. I figli sono spiriti affidati ai genitori perché ciò era naturalmente necessario per io sviluppo di un determinato progetto da compiere.

 

 

“La morte è un evento naturale, fa parte della vita di cui è conclusione. Ma la morte immatura, spessa tragica, ha straziato i genitori e li ha gettati nella più atroce disperazione.
 
“Però io posso loro dimostrare con i miei esperimenti che le persone defunte, dal loro mondo immateriale, riescono a comunicare portando conforto e speranza a coloro che più amano e da cui più furono amati. Ho la facoltà di entrare in contatto con le persone che ci hanno lasciato, le vedo, posso rivelare particolari della loro vita terrena, è anche la riprova del rapporto affettivo che interagisce tra questa e l’altra dimensione, importantissima per la consolante dimostrazione della stabilità dei legami più cari. Venga a trovarmi la prossima settimana con sua moglie, io vi farò pervenire un messaggio del vostro caro figliolo, mostrandovi cosi che lui vi e sempre vicino.
“Quante persone colpite da un lutto così crudele, quando hanno ricevuto la certezza che il figlio sopravvive in una dimensione felice, hanno potuto ritrovare fede e serenità! Essi ormai sanno che si trova in una dimensione diversa, ma comunicante con la terra. La loro creatura è invisibilmente vicina, ed è anche d’ispirazione e di aiuto. ‘Anche la sofferenza può condurci verso la luce. Non dobbiamo provare dolore per la persona cara che ci ha lasciati, ma per noi stessi, per averla perduta. Era assolutamente insostituibile, non ci Sarà mai un’altra come lei. Però, si ricordi sempre che il nostro Spirito e indistruttibile, è qualcosa che opera sempre da eternità.”
 
“Un poco e non mi vedrete più”, si legge nel Vangelo di Giovanni, “e poi un poco ancora e mi vedrete di nuovo.”
 
“La vecchiaia sarebbe insopportabile se non sapessimo che la nostra anima appartiene a una sfera che non è legata né al cambiamento temporale, né alla limitazione spaziale. In quella forma di esistenza, la nostra nascita è una morte e la nostra morte è una nascita.

“Una beatitudine di una condizione non temporale, nella quale passato, presente e futuro siamo una cosa sola.»

“Un sapiente nella Bibbia dice che c’è un tempo per nascere, un tempo per morire. Tuttavia afferma anche che Dio ha messo nel cuore degli uomini il senso dell’eternità e tutti gli uomini, credenti o non credenti, giusti e peccatori, hanno questo senso dell’eternità nel cuore e sentono la morte come ingiustizia. Ingiustizia al loro amore, ingiustizia al loro vivere, ingiustizia alla loro speranza.
“L’accettazione della morte non è facile. I rabbini dicono che l’uomo impara a non sentirsi onnipotente quando sa pensare alla morte.
“La morte è l’incontro con Dio, che è la resurrezione e la vita. La morte, quindi, non è l’ultima parola, è un passaggio. Essa deve essere per chi resta un segno di speranza.
“La morte, eterna nemica della vita, crudele distruttrice degli affetti più cari, strada senza ritorno, sonno senza risveglio perde il suo alone più cupo di separazione e di tragedia, per investirsi dei tenui colori della speranza. Tale speranza cancellerà le lacrime di chi resta e di chi va via, e spalancherà una finestra sull’aldilà dove, in un’altra forma di esistenza, potremo trovare il trascendente, il divino.”
Ogni morte è il misterioso preludio di una resurrezione, il mistero che sigilla la vita, che non è tolta ma solo mutata.»

 

Un nuovo rapporto tra religione e scienza

«Se ci si rivolge allo studio comparato delle religioni, scopriamo che tutta l’umanità è pervasa dalla fede che la morte non sia la conclusione della vita. Anche se estremamente differenziate fra loro, le singole forme di fede credono in una sopravvivenza dell’uomo. Sono convinto che in futuro la scienza scoprirà lo spirito, e il presunto dissidio fra scienza e fede sarà definitivamente superato, allora l’esistenza spirituale verrà considerata un ulteriore gradino nella scala dell’evoluzione.
“Auspico un diverso modo di intendere la scienza, che non dovrà più essere separata da filosofia e religione, un diverso approccio alla natura, una maggiore vicinanza a Dio. Quel Dio di cui anche nel nostro secolo vi è continua ricerca. La nuova coscienza dovrà essere caratterizzata da una fusione del patrimonio culturale dell’Oriente con quello dell’Occidente.
“Bisognerebbe contribuire a risanare il pianeta in cui viviamo e rendere la vita più calda, utile, ricca di spiritualità, più meritevole di essere vissuta. Dio, che è puro Amore, non condanna nessuno ed è per amore che Dio dà all’uomo il libero arbitrio, anche la libertà di fare il male, altrimenti l’uomo sarebbe un semplice automa.”
Aggiungiamo qui un video con considerazioni aggiuntive ai dialoghi sopra riportati.
Nel 1989 G.A. Rol lesse al telefono a Giuditta Dembech un brano autobiografico, in terza persona, destinato ad essere pubblicato nel libro della giornalista “Quinta dimensione”



DIALOGHI : CABBALA E SIMBOLI

 

Dialoghi tratti da “Rol mi parla ancora”


CABBALA E IL SIMBOLISMO
“Ti parlerò della Cabbala, so che è un argomento che ti affascina. Ti spiego subito. La Cabbala mistica svela quella struttura sorta sulla Cabbala tradizionale dei rabbini attraverso l’opera di generazioni di studiosi che hanno fatto dell’Albero della vita il loro strumento di sviluppo materiale e ma­gico.
“La parola Kabbalah, significa ciò che è stato ricevuto, cioè gli insegnamenti divini, trasmessi a Mosé e da lui tramandati oralmente ai discenden­ti, che ci permettono di avvicinarci a Dio. La Cab­bala è il libro dei libri, in essa vengono svelati i segreti di Dio, dell’universo e dell’uomo, tutto ciò che è accaduto e che accadrà. In essa sono racchiuse autentiche profezie. 
“L’obiettivo dei cabbalistí è quello di riconquistare l’armonia primordiale andata perduta con la disobbedienza di Adamo ed Eva che avevano man­giato il frutto proibito. 
“Dio ha indicato a Mosé sul monte Sinai la strada da seguire, dandogli non solo le Tavole della Legge e la Torah ma anche la Cabbala. 
‘L’Albero della vita indica loro idealmente il cammino da seguire per raggiungere di nuovo il paradiso. In questo modo si riuscirà a unirsi misti­camente al Signore, cercando di purificare il proprio pensiero. 
‘Per giungere a questo grado di elevazione è molto utile la meditazione come pure lo sforzo di sapere riconoscere la speranza di Dio nel creato, nei nostri simili, di cercare di elevare il nostro egoismo e le nostre passioni terrene; solo allora si potrà contribuire a realizzare il disegno divino. Dio ha bisogno dell’uomo, dobbiamo collaborare con il Signore, cercando di condurre una vita santificata dall’amore, dalla pace, dall’armonia, eliminando sentimenti negativi di odio e di rab­bia.
“La Cabbala è affascinante; mentre un tempo era permessa solo ai rabbini, ora è accessibile a tutti e può essere una guida preziosa; può rappresentare un riflesso positivo sulla nostra vita, insegnando ad affrontare le difficoltà, a controllare i nostri impulsi, le nostre emozioni.”

 

“Tu mi chiedi spesso cosa intendo per simboli. Cercherò di spiegartelo ora. I simboli sono segni che ci vengono dati dal mondo esterno, tocca a noi aprire gli occhi cercare di comprendere il significato.
“Il simbolo è una realtà concreta, un segno tangibile che rappresenta una idea astratta, difficile da scoprire, o una verità nascosta.
“Dalla notte dei tempi l’uomo si è servito dei simboli per esprimere il suo pensiero o i suoi sentimenti o per conservare delle verità giudicate inaccessibili ai comuni mortali.
‘Per questo motivo, attraverso i simboli, vengono espresse verità profonde; la spiegazione di fenomeni cosmici, la struttura del cosmo, il funzionamento della psiche umana.
“Verità trasmesse alle generazioni per folklore: le fiabe e i miti, le leggende di tutte le culture.
“Essi posseggono un valore identico in civiltà molto lontane le une dalle altre.
“All’inizio questo modo di pensare era naturale per i popoli primitivi che tendevano a procedere per analogia. Oggigiorno per noi sembrerebbe illogico, perché li paragoniamo al nostro modo di pensare, senza tenere conto che millenni di lenta evoluzione hanno plasmato il nostro spirito spingendolo verso una visione materialista, talmente concreta delle cose, per cui il simbolo è diventato un concetto arcaico.
“Nonostante ciò, essi sono riusciti a sopravvivere, non solo nel folklore, ma anche nella vita di tutti i giorni, nella religione, la bandiera nazionale, la croce, l’Agnello di Dio, o come il diadema, il bastone, la fede nuziale. Le leggende, le fiabe delle fate, come i sogni, posseggono un linguaggio simbolico, il solo accessibile al nostro inconscio, che si esprime con archetipi, chiavi che ne permettono l’interpretazione.
“Basterebbe rileggerle, approfondendo il loro significato, per riuscire a decifrare le loro radici comuni e la loro relazione intima, con le motivazioni dell’essere umano, che senza di essi sarebbero indecifrabili, Queste immagini allegoriche appartengono all’umanità, sono un patrimonio ereditario collettivo.
“I testi sacri come il Tao Té Ching, la Bhaga­VadGita, il Corano e la Bibbia posseggono tutti questo linguaggio simbolico.
“In questi testi vi è la voce dell’inconscio collet­tivo che parla al conscio dell’umanità, sono molto interessanti e possono servire a chi si rivolge ad essi per orientamenti e consigli.
“Se saremo capaci di ascoltare più spesso la nostra voce inconscia interiore, che ognuno di noi porta in sé, se la sapremo udire, solo allora potremo agire con più saggezza e lucidità e fare scelte migliori, più giuste.
“La vita è un mistero eroico, lirico e mistico.
“Spesso la verità è velata da un simbolo. Mi chiedi come si fa a vederlo, come si fa a decifrarlo. Non è facile, perché esso può avere cento segni e mille aspetti, ma la sua luce si riflette su di noi, sulla nostra vita.
“Il simbolo non è solo concreto ma anche astratto, può essere sotto forma di un invito, un presagio, un avvertimento, un epilogo.
‘Tutto quello che ci circonda ha valore di simboli, diceva Faust, ‘interpretarli è avvicinarsi alla verità.’
“La fretta di cui siamo vittime, ci impedisce di riconoscerli. La nostra civiltà ha perduto le chiavi dei simboli proprio da quel Medioevo che è stato l’epoca in cui l’umanità era più vicina a Dio. Allora la simbologia delle cattedrali custodiva il segreto dei misteri, e tutti potevano approfondire la verità attraverso gli enigmi delle pitture, delle sculture, delle decorazioni.
“Così ogni cattedrale poteva essere la Bibbia dei poveri e degli analfabeti, e allora il simbolo diventava sintesi di dottrina.
“Ma oggi il simbolismo mistico è perduto, perché vogliamo vedere tutto chiaro, reale e positivo.
“E pensare che il suo potere quasi illimitato arriva dalle sorgenti stesse dell’umanità e risale a millenni di cultura e di evoluzione: ogni simbolo è una sorgente infinita di conoscenza e di ricerca.
 “Essa permetterà a chi desidera approfondire queste immagini, di liberarsi dalla materia e dal tempo, di trascendere il senso convenzionale delle cose, di passare dal tangibile all’inaccessibile, di elevarsi nel mondo dello spirito e di trarre profitto dall’esperienza di miliardi di uomini che ci hanno preceduto.
“Lungi dall’essere una sterile distrazione per una élite di intellettuali, l’interpretazione dei simboli è una via di avvicinamento individuale dei problemi della vita dell’uomo, dell’universo: macro e microcosmo si uniscono attraverso le imma­gini, attraverso simboli universali e eterni.
“Per riuscire a comprenderli meglio, ci si deve affidare all’intuizione.
“Per familiarizzare con essi, con un linguaggio che dapprima potrebbe sembrare astratto, bisogna ignorare il senso, il significato che è familiare, cercare di astrarsi dalle proprie conoscenze intellet­tuali, dimenticare il concetto moderno delle cose.
I simboli posseggono significati psicologici, morali, religiosi: per interpretarli individualmente bisogna mettersi in uno stato d’animo disponibile e permeabile alle associazioni che i simboli stessi ci suggeriranno.
“Essi, che parlano il linguaggio esoterico dei nostri antenati, i cui sedimenti si sono depositati lentamente in un serbatoio di ricordi, quello che Jung chiama inconscio collettivo, memoria comune di tutta l’umanità.
“Questa eredità ricca e preziosa, da cui si può estrarre la conoscenza, quella che formò la saggezza degli antichi sapienti sarà alla portata di ciascuno di noi.
“Essi saranno una guida di comportamento, sui quali il tempo non avrà alcuna influenza.”




 




DIALOGHI : LE AVVENTURE DELLO SPIRITO



Dialoghi tratti da “Rol mi parla ancora” :

Le avventure dello spirito
“Egli si crede al centro dell’universo, un universo creato per lui in quel piccolissimo cosmo chiamato terra, in un solo istante di tempo cosmico.

“Non è l’uomo, bensì lo Spirito, al centro dell’avventura universale.

“La storia dell’uomo non è né più né meno importante di quella della stella, dell’albero, delle foglie, del sasso, del ramo, del cane. Tutti questi esseri posseggono uno Spirito.

“Se tu sei saggio, piccolo uomo, saprai ‘sentire’ il primo soffio dell’erba che cresce, percepire appieno la bellezza e le forze della natura per divenire più consapevole e più partecipe nella tua avventura cosmica salendo spiritualmente la scala dei valori universali.

“Dio crea il nostro spirito ma siamo noi stessi che dobbiamo realizzarlo accettando la prova severa della vita, le sofferenze, i dolori, la morte; ma lo facciamo con gioia sapendo che realizziamo il disegno di Dio. Alla fine, chiusi gli occhi, saremo noi stessi a giudicarci: siamo o meno idonei di adire all’eternità?

“Oggi si pensa solo ad accumulare, a guadagnare, a depredare senza riguardi la natura, dobbiamo invece renderci conto che Io Spirito è più forte della materia e che se vogliamo possiamo trasformare il mondo. Prima però bisogna modificare la nostra mentalità, acquisire una coscienza nuova, cambiare il negativo in positivo, decidere di non volere più fare parte della confusione e della negatività del mondo, cercare la cooperazione invece della competitività, vivere in contatto con la parte più alta di noi stessi.

“La trasformazione deve iniziare dal singolo, è l’unico modo questo per ottenere un cambiamento di rotta. Il cambiamento deve iniziare da ogni singolo individuo. Dobbiamo cercare di rapportarci a tutti i livelli: con la natura, con il prossimo, con la parte spirituale di noi stessi, con la divinità. “Dobbiamo sforzarci di sentire in noi questa divinità, dobbiamo metterci in contatto con il nostro io interiore, profondo, per potere capire che la morte non è la fine, ma l’inizio di una nuova vita; con la morte non perderemo la nostra identità, ci evolveremo soltanto.

 

“Questo genere di conoscenza può portare a un mondo migliore, a un mondo basato sull’amore e sulla comprensione profonda, a una forma di amore universale in cui il nemico può diventare amico. Ci permetterà di entrare in quello spazio in cui si trovano luminosità e gioia.

“Dicendoci ‘Amatevi gli uni con gli altri’, Gesù non faceva altro che additarci la via ascendente dell’avventura spirituale del mondo.

“L’uomo non deve isolarsi: è necessario cercare degli scambi con il contenuto della conoscenza, altrimenti isolandosi non  è più collegati, non si beneficia più dell’immensa visione del mondo che gli altri possono darci: senza gli altri l’individuo sarebbe disperatamente solo.

“E, come osservava giustamente Teilhard de Chardin, non si deve confondere l’individualità e la personalità. Cercando di separarsi il più possibile dagli altri, l’elemento si individualizza, ma così facendo, ricade e cerca di trascinare indietro il mondo.

“Per essere pienamente noi stessi dobbiamo avanzare verso la convergenza, verso l’altro. La base di noi stessi, il culmine della nostra originalità non è la nostra individualità, e la nostra personalità possiamo trovarla soltanto unendoci.”



PERSONAGGI : FELLINI (PARTE SESTA)

PERSONAGGI : FELLINI (PARTE SESTA)
Rol cammina sull’acqua in presenza di Fellini  e va in Australia in pochi secondi!   Pubblicato il 21 feb 2016
Eccezionale testimonianza inedita del sig. Lorenzo Pellegrino, che ebbe occasione di frequentare Gustavo Adolfo Rol tra gli anni ’60 e gli anni ’90, riferentesi a due episodi accaduti tra le seconda metà degli anni ’60 e l’inizio dei ’70.   Nel primo, avvenuto qualche tempo prima della realizzazione del film “Amarcord”, Rol, Fellini e Pellegrino stanno passeggiando al Parco del Valentino, in Torino, quando Rol improvvisa una camminata sull’acqua di un laghetto di anatre, per di più attraversando una cancellata di ferro come fosse inesistente.  Nel secondo, avvenuto qualche anno prima, quando il sig. Pellegrino era ancora alla scuola superiore, sempre al Valentino, Rol gli chiede che cosa gli sarebbe piaciuto fare o dove gli sarebbe piaciuto andare. Pellegrino, non sospettando cosa sarebbe accaduto da lì a poco, gli dice che gli sarebbe piaciuto andare ad Ayers Rock, il famoso massiccio rosso che si trova nel cuore dell’Australia. Detto fatto: Rol gli prende le due mani, e si ritrovano entrambe in Australia, all’istante.  Il testimone, che abbiamo convinto a raccontare almeno in audio questi due episodi incredibili, era inizialmente restio a renderli pubblici, sapendo benissimo che sarebbe stato difficilmente creduto. Noi però lo abbiamo informato che anche altri hanno potuto testimoniare fatti simili (si vedano, nello specifico, i capitoli “Levitazione” e “Alterazione spazio-temporale” dell’antologia “L’Uomo dell’Impossibile”), e ne è rimasto confortato per aver avuto conferma di non essere stato vittima di allucinazioni – cosa alla quale del resto non credeva – e che Rol davvero poteva fare quello che faceva (quando non si è al corrente di fatti analoghi come questi accaduti anche ad altre persone  “normali” e degne di fiducia, inevitabilmente rimane sempre un margine di dubbio).  Ha quindi compreso l’importanza di raccontare direttamente gli episodi, che inizialmente ci aveva comunicato personalmente per iscritto.  In un primo tempo si è limitato a leggerli a voce alta e a registrarsi, ma abbiamo voluto completare il documento registrando anche una conversazione telefonica più spontanea. Abbiamo deciso di mettere entrambi i contributi, prima le registrazioni e di seguito la telefonata.  Un fatto interessante che emerge dal “viaggio” istantaneo in Australia è che il sig. Pellegrino dice essere avvenuto nel primo pomeriggio a Torino, e che in Australia il sole era ancora alto sull’orizzonte. Ora, il fuso orario tra Italia e Northern Territory, lo stato dove si trova Ayers Rock, nel mese di luglio – quando si sarebbe svolto l’episodio – è di 7 ore e 30 min (in avanti). Quindi se Pellegrino ha “viaggiato” intorno alle 15 del pomeriggio, come ricorda, in Australia dovevano essere circa le 23! Lui stesso tempo dopo l’accaduto si è accorto di questa stranezza.  Noi gli abbiamo fatto notare che non c’è solo questo di strano: c’è anche la stagione “inversa”, e che la temperatura da lui percepita di quasi 40º è incompatibile con quell’epoca dell’anno, essendo in Australia inverno, e dove ad Ayers Rock le temperature medie sono (a luglio) di 20 gradi la massima (di giorno) e di 4 la minima (di notte).  Per spiegarsi la prima incongruenza, da lui stesso constatata, a Lorenzo è venuto il dubbio che Rol potesse viaggiare nel tempo. E infatti lo abbiamo informato che era questa una sua possibilità, di cui lui non sapeva nulla (non avendo letto nessuno dei libri dedicati a Rol, abitando in Svizzera dagli anni ’60). E quindi? Perché Rol avrebbe avuto bisogno di trasferirsi anche temporalmente? O non sarà che ha usato la “memoria” collettiva per fare il viaggio, quindi servendosi solo di un ”archivio” mentale, piuttosto che viaggiare nell’Australia di quel momento? Difficile rispondere, anche perché Rol ha dimostrato in altre occasioni di trasportarsi fisicamente e velocemente a distanza, e non solo con la mente. E il testimone ha avuto la netta impressione di essere lì, fisicamente (cosa che hanno testimoniato anche altri testimoni “temporali” o di viaggi istantanei). Probabilmente poteva servirsi di metodi diversi e usare quelli che riteneva più adeguati a seconda dei casi, o quelli che semplicemente era in grado di usare in un dato frangente. Però la terra rossa sulle scarpe da ginnastica… lascia poco spazio alle suggestioni mentali! 
 
 

SI CONCLUDE COSI IL NOSTRO VIAGGIO NEL MONDO DI FELLINI E ROL




PERSONAGGI : FELLINI (PARTE QUINTA) – BUZZATI RACCONTA

 

PERSONAGGI : FELLINI (PARTE QUINTA)  

BUZZATI RACCONTA
 
Buzzati racconta quattro episodi vissuti da Federico Fellini con Rol
Il regista Federico Fellini era molto amico di Rol e di frequente gli faceva visita a Torino, anche per chiedergli consigli sui propri progetti ci­nematografici. Naturalmente aveva assistito a numerosi esperimenti. In un incontro col grande giornalista e scrittore Dino Buzzati aveva raccon­tato quattro episodi esemplari. Così li aveva descritti sul Corriere della Se­ra del 6 agosto 1965:
 
“. Fellini fissò il calamaio. Subito ebbe la sensazione che “qualcosa succedesse dentro di lui, qualcosa di obliquo, come un malessere lucido”. A un tratto, mentre continuava a fissare il calamaio gli “venne a fuoco” il piano del tavolino, con eccezionale evidenza, ma senza più il calamaio. Sotto i suoi occhi il calamaio era sparito. E Rol non si era mosso dalla poltrona. non aveva mosso le mani. «”Il calamaio era sparito” spiega Fellini. “Si trattava però come di un’eco. L’operazione, come dire?, era avvenuta su un altro piano, io ne percepivo soltanto una rifrazione”. Rol era sudatissimo, quasi uscisse da un lungo e spossante sforzo. Ma scherzava: “Adesso mi arresteranno come ladro. Adesso come facciamo? Riuscirò a far tornare il calamaio? Quel signore laggiù ci sta guardando. Lo conosci tu quel signore laggiù in fondo?”. Fellini si voltò a guardare. Non c’era nessun signore. Riportò gli sguardi al tavolino. Il calamaio era tornato. «”Come può fare cose simili? Da quello che ho vagamente intuito, Rol deve compiere una serie di operazioni mentali in cui crea un certo ordine che si traduce in realtà fisica. Chissà, si direbbe che conosca la famosa legge di Einstein per cui la materia può trasformarsi in energia e viceversa; solo che lui la realizza sul piano mentale”»,
 
Continua il resoconto di Buzzati sul Corriere: «Un altro prodigio  in un ristorante, pure a Torino. Avevano finito di pranzare, era già stato pagato il conto. ”Andiamo?” propose Felilini. “Andiamo pure” ri­spose Rol, Fellini fece per avviarsi all’uscita ma si accorse che Rol restava seduto. “Non ti alzi?” gli chiese. “Ma io sono già alzato” fece  “Io sono in piedi”. Fellini guardò meglio; Rol era alzato, infatti, ma aveva la statura di un nano. Il dott. Gustavo Rol, che sfiora il metro e ottanta, non era più alto di un bambino di dieci anni. Qualcosa di folle, di : come Alice nel paese delle meraviglie. “Su, andiamo, andiamo” fece Rol a Fellini annichilito. Ma a Fellini mancò di nuovo il fiato: senza che egli avesse potuto percepire il mutamento, poi di colpo si era  in un gigante, stava accanto a lui come un cipresso, lo sovrastava di almeno una spanna.
 
«Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un’altra panchina, una “nurse” dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. “Guarda là” dice Fellini “bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia”. “No, non occorre” risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell’insetto, fino schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. “Ah, mi dispiace”, deplora l’uomo misterioso e affascinante. “Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!”.
 
«Quarto caso. Per avere disobbedito, Fellini stette male, per due giorni non riuscì né a mangiare né a dormire. “Mi fa scegliere una carta da un mazzo. Era, mi ricordo, il sei di fiori. Prendila in mano, mi dice, tienila stretta, sul tuo petto e non guardarla; ora, in che carta vuoi che la trasformi? Io scelgo a caso. Nel dieci di cuori, gli dico. Mi raccomando, ripete lui, tienila bene stretta e non guardarla. Lo vedo concentrarsi, fissare con intensità spasmodica la mia mano che tiene la carta. Intanto io penso: perché mai non devo guardare? Sì, me lo ha proibito, ma il tono non era troppo severo. Che me lo abbia detto apposta per indurmi a trasgredire? Insomma, non resisto alla tentazione. Stacco un po’ la carta arai petto e guardo. E allora ho visto… ho visto una cosa orrenda che le parole non possono dire la materia che si disgregava, una poltiglia grigiastra e acquosa che si decomponeva palpitando, un amalgama ributtante in cui segni neri dei fiori si disfacevano e venivano su delle venature rosse… A questo punto ho sentito una mano che mi prendeva lo stomaco e me lo rovesciava come un guanto. Una inesprimibile nausea… E poi mi sono trovato nella mano il dieci di cuori”.».
 
Federico Fellini, nel suo libro Fare un film (Einaudi, 1980 e ì 993) co­si parla di Rol: «Ciò che fa Rol è talmente meraviglioso che diventa normale: insomma, c’è un limite allo stupore, Infatti le cose che fa, lui le chiama “gio­chi”, nel momento in cui le vedi per tua fortuna non ti stupiscono. Soltanto, nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente.
«Com’è Rol? A chi assomiglia? Che aspetto ha? «È un po’ arduo descriverlo. Ho visto un signore dai modi cortesi, l’eleganza sobria, porrebbe essere un preside di ginnasio di provincia, di quelli che qualche volta sanno anche scherzare con gli allievi e fingono piacevolmente di interessarsi ad argomenti quasi frivoli. Ha un comportamento garbato, impostato a una civile contenuteti contraddetta talvolta da allegrezze più abbandonate, e allora parla con una forte venatura dialettale che esagera volu­tamente, come Macario, e racconta volentieri barzellette. Credo che la ragione di questa comportamento (…) sia nella sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento  questo suo sminuire, ignorare, buttarla in ridere per far dimentica­re e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo., i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Sono occhi fermi e , gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta, gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza.
«Quando si fanno “giochi” come i suoi, la tentazione dell’orgoglio, di una certa misteriosa onnipotenza, deve essere fortissima. Eppure Rol sa respingerla, si ridimensiona quotidianamente in una misura umana accettabile. Forse perché ha fede e crede in Dio I suoi tentativi spesso disperati di stabilire un rapporto Individuale con le forze terribili che lo abitano, di cercare di definire una qualche costruzione concettuale, ideologica, religiosa, che gli consenta di addomesticare in un parziale, tollerabile armistizio la tempestosa notte magnetica che lo invade scontornando e cancellando le delimitazioni della sua personalità, hanno qualcosa di patetico e di eroico»,

 




PERSONAGGI : FEDERICO FELLINI (PARTE QUARTA)

PERSONAGGI : FEDERICO FELLINI (PARTE QUARTA)

Data: 03/11/1993  Testata: LA STAMPA

Ciò che fa Rol è talmente meraviglioso che diventa normale; insomma, c’è un limite allo stupore. Infatti le cose che fa, lui le chiama <giochi>, nel momento in cui le vedi per tua fortuna non ti stupiscono. Soltanto nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente. Com’è Rol? A chi assomiglia? Che aspetto ha? E’ un po’ arduo descriverlo. Ho visto un signore dai modi cortesi, l’eleganza sobria, potrebbe essere un preside di ginnasio di provincia, di quelli che qualche volta sanno anche scherzare con gli allievi e fingono piacevolmente di interessarsi ad argomenti quasi frivoli. Ha un comportamento garbato, impostato a una civile contenutezza contraddetta talvolta da allegrezze più abbandonate,  e allora parla con una forte venatura dialettale che esagera volutamente, come Macario, e racconta volentieri barzellette. Credo che la ragione di questo comportamento (…) sia nella sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento che si può provare davanti ai suoi traumatizzanti prodigi di mago. Ma, nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla in ridere per far dimenticare e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo, i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Sono occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta, gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza. Quando si fanno <giochi> come i suoi, la tentazione dell’orgoglio, di una certa misteriosa onnipotenza, deve essere fortissima. Eppure Rol sa respingerla, si ridimensiona quotidianamente in una misura umana accettabile. Forse perché’ ha fede e crede in Dio. I suoi tentativi spesso disperati di stabilire un rapporto individuale con le forze terribili che lo abitano, di cercare di definire una qualche costruzione concettuale, ideologica, religiosa, che gli consenta di addomesticare – in un parziale, tollerabile armistizio – la tempestosa notte magnetica che lo invade scontornando e cancellando le delimitazioni della sua personalità, hanno qualcosa di patetico e di eroico.
 

 

 

Fellini e Rol la strana coppia
 
«Gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Sono occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta, gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza”. Fellini dixit: il Maestro soggiogato negli ultimi trent’anni della sua vita artistica da Gustavo Adolfo Rol, assicura Nicolò Bongiorno, che al veggente di Torino, signore dell’ alta borghesia subalpina, dagli intrecci carismatici con le grandi famiglie e gli intellettuali di rito – ha dedicato il documentario “Un mondo dietro il mondo”, con montaggi d’ archivio, inediti e interviste a testimoni illustri (tra cui Giulio Giorello), proiettato in anteprima al Noir in Festival di Courmayeur, poi su Sky e, forse, Raitre (La storia siamo noi). «Rol? Una personalità pazzesca, un fascino senza eguali – s’ entusiasma il secondogenito di Mike Bongiorno, 31 anni, da dieci attivo sui set italiani, tra documentari e tv -. Era inevitabile che Fellini, attratto da sempre dall’occulto, finisse, come tanti altri protagonisti della cultura italiana, per diventarne amico, fino a promuoverlo suo consulente o, se si preferisce, interlocutore nei suoi progetti cinematografici. è tuttavia sicuro che a Il viaggio di G. Mastorna, film ‘maledetto’ rimasto nel cassetto e diventato leggenda metropolitana, Fellini cambiò il finale su suggerimento di Rol: il quale, come risulta dai carteggi con Giulietta Masina documentati nel film, non ne incoraggiò mai l’ abbandono, anzi, cercò in tutti i modi di indurre il Maestro a trasferirlo su grande schermo, indicandolo come il film-chiave della sua carriera in celluloide». Da dove deriva questa fascinazione per un personaggio tuttora fumoso, strattonato tra fans della parapsicologia e razional-scettici convinti che fosse tutto un bluff? «Prima di tutto, dal fatto che sono stato amico della famiglia Fellini: Giulietta Masina è stata madrina al mio battesimo. E poi, io stesso, rimettendo insieme i vari documenti, acquisiti soprattutto a Torino, dall’ultima compagna di Rol, Caterina Ferrari, che continua a custodirne gelosamente prove e memorie, sono stato sempre più attratto dall’enorme carisma del personaggio e dal suo destino storico: grande illusionista, ma ferocemente attaccato come ciarlatano, fabbricante di trucchi da fiera». Lei è un ‘credente’ in Rol? «Sono convinto che la mente può interagire con la materia e che esistono più dimensioni, altre realtà nella nostra vita. Era questo il principio su cui si basavano le performances sconvolgenti di Rol: l’ animazione nello spazio di figure dipinte, a esempio, cui ho cercato di dare consistenza nel film ricorrendo alle tecniche del cartoon. Rol, che è nato a Torino nel 2003 e vi è morto nel 1994, si è sempre considerato un pittore: ma i suoi quadri erano escrescenze nello spazio, impalpabili, irraggiungibili. Quel che continua a ossessionarmi è il rapporto che riusciva a stabilire con la materia: è qualcosa che riguarda la scienza, non la fantascienza». Che cosa l’ ha colpita di più nella vita e nelle ‘opere’ di Rol? «La dedizione alle cause umane. Quando, durante la Seconda guerra mondiale, i gerarchi nazisti s’ erano installati nella sua casa a San Secondo di Pinerolo, era riuscito a salvare un numero importante di partigiani, ricorrendo alle sue doti di veggente: in cambio della liberazione dei prigionieri, “leggeva” le lettere delle SS chiuse a chiave nei cassetti a Amburgo. Scommetteva e vinceva: sempre».



PERSONAGGI : FELLINI (TERZA PARTE) MASTORNA

PERSONAGGI : FELLINI (TERZA PARTE) MASTORNA

Data: 03/11/1993 Testata: LA STAMPA  Bruno Quaranta
TORINO. Magia delle cifre: Fellini se ne è andato il 31 (ottobre), al 31 di una via che sfocia nel Valentino abita il dottor Rol, l’amico che più e più volte traghettò il regista in altre, superiori dimensioni. Il signor (Otto e 1/2) avrà gradito questa minuta coincidenza, ennesima liaison con il novantenne signore che parole dello stesso Fellini (è un uomo meraviglioso, un’anima bella, ha una sua consistenza umana molto semplice, addirittura provinciale: vive umilmente la vita di tutti) . Qui, nella casa stile Impero, dove può’ accadere di tutto, Fellini saliva una, due volte l’anno, con maggiore frequenza ai tempi di Buzzati. <L’ ultima visita ricorda Rol prima del ‘ 90, prima che morisse mia moglie. Al telefono, invece, ci siamo sentiti ancora di recente, scambiandoci impressioni, umori, incoraggiamenti. Un’ intervista su Federico? Dovrei, per descriverlo, affidarmi altre parole: genialità, intelligenza, bontà . Mi limiterò a una sola: immenso. Non c’ è nulla che possa lenire il dolore. Il pensiero corre a colei che ne è invasa, a Giulietta, l’unica donna degna di stare vicino a Fellini> . Affiorano i ricordi, nitidi, torniti dalla nostalgia: <Federico mi sedeva accanto, cominciavamo a parlare del film che stava nascendo. Poneva domande a cui voleva rispondessi con una parola: ‘ ‘ Lasciati andare mi invitava e di ‘cosa ti viene in mente, non indugiando’ ‘ . E poi: quanti esperimenti abbiamo fatto. Ne sortivano fenomeni che Fellini interpretava a vantaggio del suo lavoro . Esemplifica, il dottor Rol: (Mi venne a trovare, covava un film. Volle che interpellassi tre persone forse destinate a esserne protagoniste. Prendemmo tre fogli di carta bianca e li disponemmo sul tavolo, come se qualcuno fosse seduto di fronte ad essi. Pronunciai le seguenti parole: ‘ ‘Je suis le numero cinq, je desire l’aide de monsieur Ravier’ ‘. Improvvisamente i tre fogli si distaccarono dal tavolo e si misero a svolazzare, tornando poco dopo al loro posto. ‘ ‘ Ho capito disse allora Fellini ciò che ho in mente non va’ ‘ > . Rol, il regista, i film che in queste stanze decollarono o naufragarono. <Ho letto che avrei sconsigliato Fellini di girare Il viaggio di G. Mastorna. E’ inesatto, la carissima Giulietta può confermarlo. Non lasciai nulla di intentato affinché’ un lavoro così meraviglioso vedesse la luce. Purtroppo non mancò chi riuscì a insinuare nel regista e nella moglie il dubbio che realizzandolo si sarebbero tirati addosso la sfortuna> . Una prova che Rol non boicottò Il viaggio di G.Mastorna? <Eccola: mi permisi di apportare una variante al finale. Ma procediamo con ordine. La storia. Un aereo precipita. A bordo vie’ un direttore d’ orchestra. Lui e gli altri passeggeri non s’accorgono di essere morti. Si affannano a cercare i telefoni per tranquillizzare i familiari. Un’ illusione in breve frantumatasi. A Mastorna porgerà la cruda verità una compagna occasionale, accostata in una casa di piacere: ‘ ‘ Sei morto’ ‘ . L ‘ epilogo? Il direttore d’ orchestra, liberato ormai della morte, dell’incubo che è , si ritrova in un grande teatro. Il soffitto si squarcia, appare un cielo di un colore inedito, fondale di una folgorante primavera. È’ facile immaginare come Fellini avrebbe reso per lo schermo la parabola di Mastorna: stupendamente> . Si concede una pausa, il dottor Rol, riagguanta il filo della memoria: <Eccoci al finale. Lo formulai di getto. ‘ ‘ Non ti prometto niente mi avvertì Fellini. E’ molto ben scritto e lo trattengo’ ‘ . Io conservo invece il copione originario di G. Mastorna, me lo donò Federico corredandolo della dedica: ‘ ‘ A Gustavo’ ‘ . Il nuovo finale, dunque: s’intravede come può essere la vita dopo la morte. Diciamo pure, contermini banali: si scorge il paradiso, una parte, almeno> . E’ il paradiso dov’è sconfinato Fellini? Qual e ‘ l’approdo del regista? Concede poco o nulla, Gustavo Rol: <Per rispondere dovrei sapere come Dio mi accoglierà. E se mi riterrà degno di rivedere nell’ Aldilà le persone care> . Il salotto è ormai calato nel buio. Al capezzale del flebile abat jour il volto dell’anziana figura, stretta in una vestaglia grigia, sembra ancora più ossuto. Si riaffaccia Mastorna: <Fellini lo incontrò in due occasioni. Nella prima il sacerdote riminese, vissuto nel Settecento, autorizzò il film. Nella seconda pose una condizione: a Mastorna la morte doveva venire rivelata diversamente, non da una donna di facili costumi. Fu qui avverte Rol che sentii fortissimo il desiderio, quasi un ordine, di reinventare il finale. Lo apprezzò pure Marcello Mastroianni, giunto a trovarmi sospinto, chissà, da Federico. Glielo lessi, spalancò le braccia, entusiasta: ‘ ‘Sarebbe una gloria immensa per Fellini’ ‘ > . In agosto, quando l’icuts colpi’ il regista nella camera 316 (riecco il 31) del Gran Hotel di Rimini, Gustavo Rol si affidò alla Consolata, patrona di Torino, ordinò preghiere, trasmise a Giulietta Masina la speranza intensa della guarigione. Adesso svela: <Ero convinto che Federico sarebbe vissuto ancora alcuni anni. Ma qualcosa è successo, di molto materiale, che gli ha abbreviato la vita> . <Molto materiale>: ovvero? , un riferimento alle cure, al ‘ assistenza toccatagli insorte? <Molto materiale si limita a ripetere Rol . Non è necessario aggiungere, spiegare, scendere nei particolari> . Fuori scivola una pioggia noiosa, le ombre signoreggiano, le sagome di mobili e tendaggi si confondono e s’ intrecciano. Il dottor Rol pare assopirsi, una possibile felicità ne accende il viso: forse <vede>il cielo che fa da sentinella, nello studio cinque di Cinecittà, al suo amico Federico, forse in quel cielo magrittiano riconosce il fondale dell’ estrema scena di G. Ma storna, così come lui, Rol, l’ aveva intuita e come Fellini l’ aveva applaudita.



PERSONAGGI : FELLINI (SECONDA PARTE) -MASTORNA

FELLINI (SECONDA PARTE) -MASTORNA
 
Filippo Ascione collaboratore di Fellini parla di un altro dettaglio importante
Il film impossibile di Fellini Damiano Laterza «Il Sole 24 Ore» 08-05-2008
«A volte sospetto che non sia un semplice film, ma qualche altra cosa che non sono ancora in grado di comprendere».

Ovvero, quando neanche un regista riesce a vedere il «suo film», allora, facciamo un libro. L’ennesimo? La «pellicola» in questione è quella che Federico Fellini non impressionò mai: «Il viaggio di G. Mastorna» ovvero «La dolce morte». Favola inverosimile, progetto astratto e irrealizzabile. Il nuovo tentativo di rileggere l’opera, ripetutamente definita come «il più famoso film su carta della storia del cinema», arriva con l’inaugurazione della collana «Compagnia extra», per le edizioni Quodlibet di Macerata. E si tratta di una pubblicazione che contiene un passaggio inedito, ovvero la trascrizione della sceneggiatura in forma di narrazione continua. Un processo che è avvenuto «senza toccare una sola parola ed eliminando soltanto l’apparato tecnico», come sottolinea Ermanno Cavazzoni, curatore del volume. Lo stesso fu autore del celebre «Poema dei lunatici» che ispirò l’ultimo Fellini. E, dunque, dei viaggi onirici del Maestro ne sa qualcosa. Nel «Mastorna», Fellini spinge all’estremo la sua poetica visionaria: come dire che la narrazione nasce e si sviluppa come gioco impossibile da mostrare. E siccome anche i profani sanno che la scrittura scenica fa testo a sé, viene da domandarsi se il regista non abbia voluto, in fondo, cimentarsi anche con il genere «letteratura». Nel senso più anti-cinematografico del termine. Poiché questo «romanzo» si lascia leggere tutto d’un fiato. E quei famosi «tecnicismi», che ne avrebbero dovuto consentire la trasposizioni filmica, sono gli stessi che, in realtà, hanno sempre impedito di «chiudere» il film. Una storia che fu anche un fumetto, opera di Milo Manara, ma che non poté mai diventare cinema. Se non chiudendo gli occhi e lasciandosi travolgere dai rimandi e dalle interconnessioni mentali, di un fervido e luminoso genio fantastico tra le onde dell’assurdo. Un mondo di sogni allucinati che diviene il testamento-sfida dell’uomo che riuscì a costruire l’impareggiabile arte dell’equilibrio perfetto tra vero e falso. Sogno o son desto? Da cantore junghiano dell’onirico, Fellini sembrò conoscere bene i limiti del suo esperimento. Alla luce di alcune dichiarazioni, emerge, quella pragmatica consapevolezza che spinge a «non buttare via niente», prerogativa esclusiva dei talenti creativi. Fellini, si può dire, «usò» il «Mastorna» come un serbatoio. Dal momento della prima stesura, era il 1965 e vi collaborarono Brunello Rondi e Dino Buzzati, la sceneggiatura servì da laboratorio per sviluppare idee, che poi sarebbero ritornate nelle opere successive. Un «block notes» interattivo, plasmato a guisa di favola assurda e terrificante che irradia dislessiche sequenze, disintegrandosi ogni volta. Per questo «irrealizzabile», poiché «già realizzato»; carico di tutti quei temi che sono l’opera del cantore d’immagini riminese. La memoria, la caricatura, l’autobiografia. Il tentativo manifesto di spiegare l’orrore del contemporaneo, attraverso la lente deformante delle proprie ossessioni personali. 
 
Fellini, l’aldilà e il ritorno del sogno Paolo Di Stefano «Corriere della Sera» 15-04-2008
Nel “Viaggio di Mastorna” un mondo alternativo alla quotidianità
Finalmente possiamo leggere come un romanzo Il viaggio di G. Mostorna di Federico Fellini (editore Quodlibet), sceneggiatura dl un famoso film che non esiste, perché non fu mai realizzato. La storia è presto detta: un aereo in volo è costretto a un atterraggio di fortuna in un luogo imprecisato; i passeggeri, tra cui li violoncellista Giuseppe Mastorna, credono di essere salvi, invece sono morti e faranno fatica a capire che quella strana città piena dl chiese e l’hotel che li ospita si trovano esattamente nell’aldilà, nonostante le apparenze un po’ squallide del paesaggio. In un momento dl disperata lucidità, Mastorna esclama: «E’ questo il regno di Dio? Non è possibile! (…) non è possibile che la morte sia questa!”. A leggere la bella postfazione dl Ermanno Cavazzoni al Viaggio di Fellini (introdotto da Vincenzo Mollica), viene un po’ di nostalgia per quei romanzi che raccontavano un altro mondo (l’aldilà o la follia), alternativo allo stato delle cose in cui viviamo (o tentiamo di vivere) la nostra quotidianità. Siamo infatti accompagnati in sottofondo da un gigantesco racconto iperrealistico, ma come ha scritto sabato su Tuttolibri Andrea Cortellessa, tutti questi reportage che pensano dl restituirci il mondo e la società, finiscono spesso per fotografare un paese che non c’è, una realtà virtuale, finta, inautentica, nostalgica; e in opposizione a questo «mare dell’oggettività» (come lo definiva un tempo Calvino) il sentimento più efficace rimane la vecchia indignazione. Cavazzoni passa in rassegna alcuni «purgatori» letterari del Novecento, un secolo in cui «si incomincia a vivere, come se non si morisse, una vita tutta al presente, perché all’inferno, per caso ci fosse, ci si penserà poi; e il paradiso invece meglio anticiparlo qui in terra, potendolo, ad esempio in qualche isola corallina del Sud Pacifico, per le due settimane di ferie ogni anno». Resta un «medio regno» privo di trascendenza e in penombra, un purgatorio in cui vaghiamo senza meta e in cui approdiamo senza rendercene ben conto. L’esempio massimo di questo passaggio indolore in un altro mondo purgatoriale è Il processo di Kafka, dove «non c’è quella netta distinzione tra un prima e un dopo (tra la vita e la morte)»: perché nell’aldilà ci siamo già immersi, ci viviamo già, è un purgatorio a portata di mano. A testimoniarlo ci sono anche diversi romanzi italiani – comici, barocchi, tragici, allegorici – usciti tra gli Anni 60 e ‘70: per esempio, Il serpente di Luigi Malerba, Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli, Le stelle fredde di Guido Piovene. Ai quali si potrebbero aggiungere, oltre al Mastorna di Fellini, i «mondi alternativi» di Guido Morselli (Dissipatio H.G.) e alcuni racconti stralunati e paradossali dello stesso Cavazzoni: compreso quel Poema dei lunatici che piacque tanto al grande regista. Resta il fatto che negli ultimi tempi non ci sono opere significative che raccontino un’altra dimensione. Eppure è un tipo di letteratura che appartiene al Dna italiano (se, oltre a Dante, Ariosto e Boiardo dicono ancora qualcosa) e che ultimamente è rimasto sommerso dall’alta marea dell’oggettività. Ma per fortuna se ne vedono all’orizzonte i segni di un ritorno.
 
Il film mai girato da Fellini faceva iniziare la vita dal suo vero inizio Mariarosa Mancuso «Il Foglio» 09-04-2008
Scrive un regista a un produttore: “Gli ambienti principali possono essere: aeroporti, stazioni ferroviarie, metropolitane, porti di mare, strade di città modernissime e molto antiche, distese paludose, il mare, i quartieri di Roma, New York, Amsterdam, Berlino, il Vaticano, paesetti laziali, Venezia”. Parole (e location) che fanno immaginare budget stratosferici, gravati da tutte le complicanze che solitamente accompagnano la lavorazione di un film. Come se non bastasse, il regista confessa di non avere ancora le idee chiare sul finale. La lettera, firmata da Federico Fellini e indirizzata a Dino De Laurentiis, riguarda il celebre film mai girato, del cinema italiano e non solo: “II viaggio di G. Mastorna”. La sceneggiatura risale al 1965, il regista sognò di fare il film per quasi trent’anni, ci fu una guerra giudiziaria con relativo sequestro di beni, alla fine la superstizione ci mise il suo zampino: il film parla dell’aldilà, se dopo molti tentativi non riesce ad arrivare sugli schermi, meglio non sfidare la sorte. Il violoncellista G. Mastorna – precipita con l’aereo in un luogo imprecisato, per ritrovarsi in un mondo che somiglia tanto al nostro, non fosse che sono tutti già morti, e per divertirsi si buttano giù dalle finestre come in una gara di tuffi, tanto si muore una volta soltanto – esiste solo in un fumetto di Milo Manara, in un documentario girato da Fellini medesimo per una TV americana, e nella sceneggiatura originale (Fellini in collaborazione con Dino Buzzati e Brunello Rondi) ora pubblicata da Quodlibet, a cura di Ermanno Cavazzoni.
Come tutti gli scritti sull’aldilà, anche “Il viaggio di G. Mastorna” parla dell’aldiquà. E’ un monumentale “appunto per il dopo” che disegna un Inferno – o un Purgatorio, su questo non c’è accordo – completo di tutto. Anche di salette cinematografiche. La programmazione è un pochino limitata, almeno per i nostri gusti. “Cosa danno?” chiede uno spettatore. G. Mastorna risponde “La mia vita”. Il film è muto, un pianista avventizio si offre di accompagnare le immagini: “La musica aiuta sempre, lei lo sa meglio di me, è una gran ruffiana”. Parte la musichetta, il proiezionista dà il via allo spettacolo: “Un mitragliamento, una pioggia di immagini così veloci che non si possono afferrare. Un brulichìo informe che stenta di prendere corpo. Una danza luminosa di cerchietti che ruotano vorticosamente”. Ohibò, vuoi vedere che il film  della vita di G. Mastorna è una robaccia sperimentale? Neanche per idea: è che il film della vita di G. Mastorna non comincia con la nascita, ma nove mesi prima (proprio come la petulanza di Tristram Shandy, testimone dell’intempestiva domanda che sua madre rivolse a suo padre nell’atto del concepimento: “Caro, ti sei ricordato di caricare la pendola?”, copyright reverendo Laurence Sterne). Siccome l’interessato è un po’ tonto, uno spettatore più sgamato illustra: “Il suo organismo in formazione, il sistema sanguigno, i suoi primi fasci nervosi, i suoi arti in via di crescenza”. In platea siedono sette o otto persone variamente legate a G. Mastorna (per l’attore, Fellini aveva pensato a Marcello Mastroianni, Steve McQueen, Paul Newman, Laurence Olivier, Ugo Tognazzi): il suo colonnello, il suo insegnante di religione, il suo professore al conservatorio, e due signorine. Anzi, fellinianamente: “Due vistose mignottone, ossigenatissime e truccatissime”. Quando la danza dei puntini luminosi si fissa, e l’immagine comincia a somigliare ad un bambino, le signorine si sdilinquiscono in coro: “Carino, guardalo, già si riconosce! Tiene i pugnetti chiusi!”.