POSSIBILITA’: INTERVENTI TERAPEUTICI E GUARIGIONI (2)

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In merito a questa seconda parte e a quello che leggerete vi riporto una testimonianza di Maria Luisa Giordano, per comprendere meglio:

Maria Luisa Giordano riferisce:

«[Rol] Diceva di non fare diagnosi mediche, ma di dare il suo “parere” sulle condizioni di certi pazienti, solo su richiesta dei medici, senza che gli fosse fornito alcun dato clinico, solo guardando il paziente in faccia o anche a distanza, concentrandosi. Con i malati imponeva di rado le mani, preferiva “fare dei soffioni”, verdi, specificava. Poneva un fazzoletto bianco sulla parte sofferente, teneva con la sua mano destra il mignolo della mano sinistra del paziente, per fare circuito chiuso. Poi si metteva a soffiare e il volto gli diventava paonazzo per lo sforzo. Mi diceva che, mentre lo si fa, è molto importante immaginare di immettere energia di colore verde (…). E soggiungeva: “Sai, bisogna fare un raffronto con il racconto della creazione, la Genesi. Per creare l’uomo, Dio aveva soffiato sulla Terra e così era nato Adamo. Il soffio possiede una energia vitale incredibile”.

Anche nei luoghi più impensati, in un ufficio, in un ospedale, in un negozio, gli veniva da dire all’improvviso a qualcuno che non conosceva cose del tipo: “Lei è curato per il cuore, ma i suoi disturbi provengono dallo stomaco. Ha anche un grosso calcolo biliare. Dica al suo medico di farle fare gli esami”. Oppure: “Lei soffre di una malattia ai polmoni, è appena uscito dal sanatorio”. Non si sbagliava mai. Se mi sentivo un po’ affaticata, per via della pressione bassa, non avevo bisogno di parlare. Come saliva in macchina mi diceva: “Oggi non stai bene, hai il potenziale basso”. A volte addirittura provava l’impulso incontrollabile, come per un ordine superiore, di fermare per strada un passante per ammonirlo sulla sua salute, per consigliare di fare o non fare un viaggio, una determinata cosa. Agiva come diceva Goethe: “Sotto l’impulso di un ordine ignoto”. Chiedeva scusa per l’intromissione, ma essendo in questi casi il suo intervento ispirato da una forza superiore, una diagnosi, un consiglio, un ammonimento erano sempre benefici». (da: M.L. Giordano, “Rol e l’altra dimensione”, Sonzogno, 2000, p. 53-54)

continuiamo….

Sandro Rho:

«Era la primavera del 1981 quando, un pomeriggio, mio padre, Giuseppe Rho, ricevette una telefonata da Rol di cui era amico. In questa telefonata Rol affermava di essere al corrente della brutta malattia della suocera (mia nonna sembrava quasi alla fine, perché ormai era già da due settimane che le somministravano due punture di morfina al giorno, per cercare di rendere meno dolorosa la sua imminente scomparsa). Mio padre, molto triste, rispose che questa volta, purtroppo, dopo aver fatto e provato di tutto, diverse cliniche e ospedali, nonché luminari della medicina con nomi altisonanti e bravi dottori meno conosciuti, ma molto coscienziosi, con suo grande rammarico si sentiva sconfitto per la mancanza di risultati positivi. Rol, che era consapevole dello pseudo scetticismo di mio padre (nonostante le numerose serate in casa Rol), gli disse con tono imperativo e che non ammetteva repliche di mandarlo a prendere il giorno successivo alle ore 14 dal figlio Sandro (.. , ), E fu così che, il giorno successivo, alle ore 14 mi ritrovai parcheggiato davanti all’ingresso di via Silvio Pellico 31. Rol uscì immediatamente e io scesi all’istante dalla macchina per presentarmi e aprirgli la porta. (…). Mi fece sorridere perché mi disse che non era una bella donna e che la porta riusciva ad aprirsela anche da solo. (…). Arrivati a casa di mia nonna, ci accolse mia madre in lacrime e Rol la salutò dicendole: “Non preoccuparti, Carmen, diamoci da fare perché la tua mamma resterà al tuo fianco ancora molti anni”. A quel punto si sedette su una poltrona della stanza da letto di mia nonna, parlò un po’ del più e del meno, come se fosse venuto li per fare due chiacchiere e basta. Poi, all’improvviso esclamò: “Sono pronto”. Si alzò, disse a mia madre di chiudere nel suo palmo destro il pollice sinistro di mia nonna. Egli fece la stessa cosa con mia madre, e con la sua mano sinistra prese il pollice destro di mia nonna ed iniziò a soffiargli sopra. La cosa, se ricordo bene, andò avanti qualche minuto, poi Rol sudato e prostrato, disse che per quel giorno era sufficiente e che sarebbe tornato l’indomani. (Da quella stessa sera la nonna non ebbe più bisogno di morfina.) Grazie Gustavo», [M.L. Giordano:] «Ricordo benissimo questo caso di cui fui anch’io testimone. Accompagnai anch’io più volte Rol dall’ammalata, la vidi giorno per giorno migliorare tino ad arrivare alla guarigione definitiva. Tutto in tempi molto rapidi, in una decina di sedute al massimo. Un vero prodigio!».

Sandro Rho: (altra versione)

«Correva l’autunno 1981… Mia nonna, che allora aveva 74 anni, soffriva le pene dell’inferno per una terribile nevralgia al trigemino che nessun medico era riuscito a curare nonostante i numerosi consulti richiesti. Un giorno Rol e papà  si parlano al telefono: “Ti sento preoccupato”, dice il primo. “In effetti è così, mia suocera è ormai alla fine, due punture di morfina al giorno non le danno più alcun giovamento”. “Non ti preoccupare”, ribatte il sensitivo, “di a tuo figlio di venirmi a prendere subito e vediamo cosa si può fare”. Parto immediatamente, una volta arrivato in via Silvio Pellico…scopro un uomo simpatico e di grande carisma che però non riuscivo a guardare negli occhi, tanto penetrante era il suo sguardo. Arriviamo.., a casa di mia nonna, e per una mezz’ora si discute di tutto un po’. A un certo momento, mentre vestito di tutto punto parlava con mia madre stando comodamente seduto sulla poltrona, afferra il suo piede destro e come se niente fosse se lo porta dietro la testa. Poi, dopo aver amabilmente intrattenuto l’infermiera facendole molti complimenti, dice: “Adesso sono pronto, possiamo cominciare”. A mia madre chiede di afferrare con la mano destra il pollice sinistro della nonna, lui fa altrettanto con il pollice sinistro di mia madre, poi si mette a soffiare per almeno cinque minuti sul pollice destro della nonna per chiudere il cerchio. lo intanto lo guardo: é spossato, bianco, sudato. Quel giorno non fu necessaria la seconda dose di morfina, dopo una decina di trattamenti analoghi mia nonna si é ripresa completamente, tanto che sarebbe morta soltanto dieci anni più tardi di un altro male»,

Bonfiglio (Carlo Rol):

«In un’altra lettera, mai pubblicata in nessun testo, Carlo Rol, sofferente da tempo di ulcera intestinale, racconta come un giorno, stanco di pensieri, dubbi, perplessità, si reca deciso al ristorante, mangia a più non posso e fiducioso nelle qualità di Gustavo, una volta sopraggiunto il dolore lancinante al ventre, si posiziona una sua lettera (di Gustavo) sull’addome, pregando in questi termini: “Gustavo, se tu sei davvero ciò che dici di essere, fa’ che il dolore scompaia immediatamente!”. E così fu! Pensate. La lettera prosegue con una perfetta descrizione dei momenti in cui Carlo senti non solo il dolore scomparire, ma intuì `qualcosa’ agire al suo interno. Infatti, afferma, l’ulcera scompari del tutto, con buona sorpresa dei medici curanti, e più non si presentò alcun sintomo».

Valerio Gentile:

«Una mattina quando entrai Rol mi disse: “Si vede signor Gentile che lei non sta tanto bene”. In effetti avevo mal di pancia. Allora mi disse: “Vieni di là e distenditi sul tappeto”. lo io guardai e dissi: “Ma queste cose non è che si fanno, cioè avrei avuto un po’ di diffidenza… e lui dice: “Ma prova a distenderti sul tappeto”. Era su quel tappeto nella stanza dove aveva il televisore, aveva un tappeto per terra, e mi fece distendere sul tappeto. Non sarà l’emozione, non sarà che mi sono preso paura, eccetera… il mal di pancia mi è sparito… Lui non ha fatto niente, m’ha fatto distendere su un tappeto. Forse il rilassamento…».

Franco Zeffirelli:

«La ragione per cui in un primo tempo avevo esitato a contattare Rol, era un episodio capitato a Federico Fellini, che avevo trovato piuttosto inquietante. Rol aveva consigliato a Fellini di abbandonare il progetto del film al quale stava lavorando, 11 Viaggio di Mastorna, una rielaborazione, al modo di Fellini, dell’inferno dantesco. “Non lo fare, accantonalo, almeno per ora. Potrebbe essere l’ultimo film della tua vita” lo aveva accoratamente avvisato Rol. “Non chiedermi perché, ma so che non lo devi fare”. La produzione però era già stata avviata, perfino il set era già in costruzione. Fellini, impressionato dalle parole di Rol, era sempre meno convinto di voler continuare la preparazione di quel film. Al punto che cominciò realmente a sentirsi male. Dovettero ricoverarlo e gli esami clinici accertarono che aveva una massa di tessuti cancerosi allo stomaco. “Devi subito lasciar perdere quel film” insisteva Rol al telefono. Finalmente riuscì a convincerlo. Dal momento in cui Fellini annunciò pubblicamente di rinunciare al film, {non ricordo cosa diavolo inventò} cominciò a star meglio. E gli esami radiologici dimostrarono un evidente miglioramento finché, in un paio di settimane, il tumore era praticamente scomparso. Il produttore Dino De Laurentis, che era uno di poche parole ma di molti fatti, si infuriò, e fece causa a Fellini con feroce accanimento, cercando di screditare il regista con l’affermazione che i raggi X originali, da cui risultava il male, erano di qualcun altro: un trucco infame, sosteneva De Laurentis. I medici erano sorpresi quanto fui, e non seppero spiegare il mistero della scomparsa del tumore. Le lastre però erano li, a dimostrare che il tumore era realmente esistito e poi era scomparso. E le lastre, fu dimostrato, erano di Federico e non di qualcun altro. Ma De Laurentis non volle sentir ragioni, e vinse la causa, portando via quasi tutto quello che Federico possedeva; cominciando dalla bella e amatissima casa di Fregene».

Carla Perotti:

«Ci fu un periodo della mia adolescenza in cui avevo sempre male alle ginocchia, mio padre aveva tentato ogni trattamento, facevamo venire da una farmacia di Chiavari una specie di crema fossile nerastra che sporcava le lenzuola, tra alti clamori della nonna che considerava sacro ogni pezzo di lino. La mia camera odorava sempre di canfora o di trementina, e per qualche settimana ogni sera mi furono fasciate le ginocchia con le foglie calde dei cavoli. Un giorno finalmente entrò in scena Gustavo, sedette accanto a me sul divano del salotto e mi suggerì di tacere per qualche minuto, di mettere una museruola ai pensieri e di restare semplicemente in ascolto. Allora, nella vastità di quei silenzio, sentii una vibrazione penetrare le colline delle ginocchia, socchiusi gli occhi e vidi che il corpo di Gustavo era scosso da un tremore. Pochi minuti dopo ci incontrammo sorridendoci. Non ebbi più male alle ginocchia, lino a quando mi ruppi un menisco scendendo con gli sci dalla Banchetta».

«Talvolta accompagnavo mio padre all’Ospedale di Chivasso, dove egli esercitava la sua professione come primario dì medicina. In una di queste occasioni, forse durante le vacanze di Pasqua, venne con noi anche Gustavo. Si trattava di sentire il suo parere a proposito di una diagnosi incerta, anche perché negli anni ’40 non esistevano esami scientifici come quelli di oggi. Non si parlava di Tac o di Risonanza, persino il nome delle transaminasi era completamente sconosciuto. Il paziente era colui che io chiamavo da sempre “l’uomo del burro”, il lattaio che aveva bottega accanto all’ospedale. Era piccolo e tondo, aveva tondo il viso e le mani, ogni falange appariva arrotondata alla maniera di un salsicciotto. Grembiuli azzurri e pulitissimi lo fasciavano come un bambino, e il viso era rosato, quando mi abbracciava avvertivo in lui l’odore del latte, pareva una nutrice con il neonato al seno. Trasse dal retro tre seggiole che parevano inamidate tanto erano bianche, e ci accomodammo. Non ci fu modo di dire una sola parola, Gustavo fece immediatamente segno di tacere, penetrò l’ornino con uno sguardo infuocato degno di un dio, lo toccò brevemente, tremò, poi con voce perfettamente normale — due ottave sotto il tono che corrispondeva allo sguardo — chiese ridendo a mio padre perché mai lo avesse svegliato così presto, per andare a vedere un signore che era “perfettamente sano”… Certo, ora era sano, avrebbe potuto salire al pascolo dove un suo figliolo teneva le cinque mucche bianche che amava come figlie, perché gli era guarito il fegato, all’improvviso, come per magia».

 

TRATTO DALL’UOMO DELL’IMPOSSIBILE di Franco Rol