IL MIO PRIMO MAESTRO (C. PEROTTI -terza parte – LA TREMENDA LEGGE)

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Abbiamo appreso dai precedenti post che :

– quando l’emisfero destro del cervello si libera dalla pesantezza dell’analisi e diventa straordinariamente intuitivo;

– Sentivo che si era trasformato in un canale negli esperimenti e tremava;

– “analizzava spesso le corrispon­denze curiose che si manifestano tra gli odori, i colori e i suoni;

– Gustavo, che non considerava la reincarnazione tra le proprie ipotesi, diceva però che lo spirito “sopravvive”;

– le possibilità non sono nate con Rol il suo percorso  di illuminazione è stato sollecitato dalla scoperta;

– il suo rammarico consisteva nella impossibilità di poter o voler lasciare una “regola”, una “formula”, per accedere al proprio spirito, Il grande desiderio di lasciare una dottrina;

– considerava l’universo come una realtà unica;

 – esistono due modi di vedere, uno con gli occhi del corpo, e uno con quelli dello spiri­to intelligente.;

la profonda fede , non dogmatica e sempre legata ai vangeli, la bibbia;

lo Spirito intelligente non abita il cervello, ma il cuore;

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Cari lettori questi  ultimi estratti dal libro “il mio primo maestro” risultano talmente chiari nel contenuto,  che risulta inutile qualsiasi commento personale, si aggiungono pertanto ai precedenti post sulla ” tremenda legge”, un mosaico che nel prosieguo mi auguro si arricchisca sempre più.

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Alle persone abituate a confinare la realtà nel concreto, gli esperimenti di Gustavo potevano apparire offensivi. Essi si realizzavano in una di­mensione a loro sconosciuta, alla quale si può accedere solo con un’intuizione illuminata da ciò che potremmo denominare “buddhi”. Nello yoga si definisce come tale “il gioiello della corona del discernimento e della comprensione”, perché è la buddhi a consen­tire di affacciarci al vuoto.

Il vuoto è la cosa più importante che ci sia, provate a pensare a un vaso: se non fosse vuoto non servirebbe a nulla! … Anche una casa diviene abitabile solo perché porte e finestre si affacciano sul vuoto. Quando Gustavo ebbe per la prima volta la rivelazione dell’ac­cordo tra la quinta musicale, il colore verde e il calore si sentì smarrito, annotò sul suo diario “non scriverò mai più!” e provò un grande dolore. La creatura infatti, di fronte alla percezione del­l’infinito, può provare un forte spavento.

La realizzazione improvvisa della verità manda in frantumi tutto ciò con cui si era identificata, l’ego si sbriciola e non sa più a che cosa aggrapparsi. C’è ancora l’istinto di cercare un appiglio, ma sappiamo di trovarci di fronte all’abisso del vuoto. Mi sono chiesta se il calore del quale parlava Gustavo fosse la fiamma al­chemica della conoscenza, di un sapere che è Luce, Sole dei Veda o Brahman, il calore dell’Illuminazione.

Questa ipotesi è plausibile perché il colore verde corrisponde al chakra del cuore, al suo livello. Se osservate il simbolo di questo chakra, Anahata, vedete che esso è composto da due triangoli in­trecciati in modo da avere un vertice verso l’alto e uno verso il basso. Esso esprime con chiarezza l’ascesa della materia verso l’alto e la discesa dello spirito verso la materia e definisce nella propria trasparenza l’affermazione del divino. Nel X libro della Bhagavad Gita si legge: “Io sono il Sé che risiede nel cuore di tutti gli esseri, io sono l’inizio, il centro e la fine di tutti gli esseri”.

La quinta musicale, come certo sapete, è la nota dominante della scala, e nell’associazione con il calore e il colore verde potrebbe significare l’origine, la vibrazione del suono mistico dal quale tut­te le tradizioni dicono sia nato il mondo. Un grande musicologo tedesco, Marius Schneider, parlava di suono, anzi di grido, come principio della creazione. Dall’India all’Egitto, alla cultura ebrai ca, si parla di un suono antecedente o simultaneo a Dio, certo non posteriore, il che ci aiuta a comprendere che il mondo stesso è suono, è vibrazione. Per questo gli inni più antichi contengono sillabe mistiche e non parole.

Ho riflettuto a lungo sul colore verde, perché Gustavo mi disse un giorno che per aiutare una persona si deve evocare prima questo colore, immergersi in esso. Io lo facevo già, per istinto, nel mio istituto di yoga, invitavo spesso a sentire il verde, a immaginare un prato o un gazebo. Mi pareva che il verde, componendosi di giallo e di blu, consentisse di realizzare la percezione della totalità e dell’armonia. Questo mi spinse a chiedermi se il mondo che perce­piamo non sia altro che una somma di percezioni che hanno subito una metamorfosi.

Avrei voluto parlarne con Gustavo, ma negli ultimi anni era diventato impossibile avere un contatto con lui. Era come presi­diato, custodito, ci dicevano ogni volta che non poteva ricevere nessuno, o che era stanco.

Come vi ho già detto, io avevo sempre pensato che il famoso in­contro di Marsiglia fosse avvenuto con un sufi o con un discepolo di Gurdjieff. Per questo pensando al verde mi ricordai di el-Khidr, l’uomo verde del quale si parla in molti testi, e nel Corano come di colui che apprese a Mosè la conoscenza. El-Khidr era dunque un essere misterioso, i cui tratti ricordano un poco il nostro Elia e per altri aspetti San Giorgio. Il Corano lo rappresenta superiore ai pro­feti, come guida di Mosè, al quale chiede di avere “pazienza”, pa­rola che sembra alludere alla lunga fatica della vita spirituale. Di lui si dice che “egli sedeva su una terra arida e secca, ma quando si alzò si vide che la terra era diventata verde”.

Di questo uomo misterioso si parla anche nella letteratura per­siana, e tra gli iniziati musulmani e gli esoterici sufi viene consi­derato come il Maestro, il Melchisedek interiore. Così come egli è il Kether dei cabalisti e I’Atman degli induisti.

Resta il fatto che tanto il numero 5 quanto il colore verde si tro­vano al centro del loro mondo. Che cosa significa essere al centro se non uscire dalla condizione umana per entrare nel pieno stato dell’Essere? Ecco perché, a questo punto, non resta altro che diven­tare, come dice Gustavo, semplicemente una grondaia. Ciò che la­scia scorrere il divino, che accoglie e non si oppone a nulla.