POSSIBILITA’ CARTE – 2° PARTE

POSSIBILITA’ CARTE – 2° PARTE

Carlo Rol, fratello di Gustavo:

«Nei Tuoi esperimenti, che inoltre fai in piena luce, non c’è suggestione. Quando nel 1947 l’asso di cuori spari dal mazzo rosso che avevo in saccoccia e andò ad affiancarsi all’asso di cuori del mazzo azzurro che era stato chiuso, sotto chiave, da me ritirata, nella vetrina delle vecchie bomboniere e zuccheriere d’argento, il passaggio era realmente avvenuto e la situazione permase. I fenomeni sono reali, indiscutibili, categorici, inesorabili»

 

Giuditta Miscioscia:

«Una sera eravamo in casa di un famoso parrucchiere di Torino. Oltre a noi c’erano altri ospiti, persone molto importanti che desideravano conoscere Rol e vederlo in azione. Il padrone di casa si dichiarava scettico. (…). Appena entrato in quella casa, Rol aveva “percepito” quella diffidenza. Osservava gli sguardi un po’ ironici del parrucchiere e diventava sempre più teso. A un certo momento chiese al padrone di casa: “Ha delle carte?”. “Certamente”, rispose il parrucchiere e porta un mazzo di carte da gioco, nuove, ancora chiuso dentro il cellofan. Rol le prese, tolse l’involucro di nailon e poi chiese ancora: “Qual é la sua carta preferita?”. “L’asso di cuori”, rispose quel signore. “E la carta che piace anche a me”, disse Rol. Mescolò il mazzo clic teneva in mano e poi lo gettò sul tavolo facendolo scivolare. Due delle carte si erano misteriosamente rovesciate ed erano tutte e due uguali: l’asso di cuori. Rol ne aveva aggiunta una al mazzo intonso. Il parrucchiere era piacevolmente sorpreso. Sapeva di aver consegnato un mazzo di carte nuovo e Rol non poteva conoscere che lui avrebbe indicato come “carta preferita” l’asso di cuori. E poi come aveva fatto a “creare” un nuovo asso di cuori’?».

Furio Fasolo:

«Io avevo portato un mazzo di carte, e Rol accondiscese a farmi assistere a numerose prove. Mi soffermerà su una sola, apparentemente la più semplice. Io stesso mescolavo le carte, controllavo che tutte quante fossero disposte nel medesimo senso, con i segni rivolti verso il basso, poi premevo su di esse la mia mano. A un certo istante, il dott. Rol faceva si che una di quelle carte, secondo l’esatta indicazione da me espressa, si capovolgesse, pur continuando il mazzo a restare ‘immobile, senza un tremito, ne una vibrazione. Un geometra, un ingegnere, un professore di matematica casi argomenterebbero: “Evidentemente, una carta da gioco, per capovolgersi, ha bisogno di libertà di movimenti in uno spazio che é determinato dalla misura, per lo meno del suo lato minore. Perciò se il movimento si rendesse possibile pur senza la disponibilità ditale spazio, le stesse Leggi fondamentali della fisica sarebbero sovvertite. È inammissibile”»».

Dino Biondi:

«Dicevo dei dubbi e delle certezze che Rol suscita in chi assiste ai suoi esperimenti, da lui definiti di “coscienza sublime”: ebbene il caso più clamoroso é accaduto ad un architetto che, arroccandosi nel suo ateismo, rifiutava tutte le dimostrazioni dell’esistenza di Dio enunciategli da Rol con la sua eloquenza calda, elegante, colta e trascinatrice. A un tratto questo eccezionale “defensor fidei” ha una illuminazione: ‘Prenda un mazzo di carte, dice all’architetto, controlli che sia completo e vada a nasconderlo in una stanza di questo appartamento. Mentre l’architetto va a nascondere le sue carte, Rol si rivolge a Dio supplicandolo di aiutarlo nella difficile prova. Quindi, tornato l’architetto, gli dice di scegliere da un secondo mazzo di carte una carta qualsiasi. L’architetto la sceglie: é un cinque di cuori. “Bene, dice Rol. Prenda adesso da quella libreria un volume, quello che lei preferisce e lo apra”. L’architetto si alza, sceglie un libro a caso, lo apre e ci trova dentro un cinque di cuori. Va poi a riprendere il mazzo che aveva nascosto e constata, impallidendo, che il cinque di cuori non c’è più»,

«lo immagino, ora, lo scetticismo del lettore e immagino anche che la prima spiegazione che egli dà di questi fenomeni é una sola: l’ipnotismo. Anch’io ho creduto a suo tempo di risolvere l’enigma con la stessa interpretazione. Ma poi assistendo alle sedute di Rol, mi sono convinto che l’ipnotismo non c’entra. Me ne sono convinto dopo questo episodio: da un mazzo di carte appena acquistato da uno degli ospiti, Rol ha fatto estrarre una carta, un asso di cuori: l’ha fatta lacerare e gettare dalla finestra. Poi ha fatto aprire un secondo mazzo di carte nuove e tutti hanno potuto constatare che stavolta gli assi di cuori erano due. Ipnotismo? No, perché quando siamo usciti da quella casa abbiamo trovato per strada, sotto la finestra i ritagli della carta che era stata stracciata poche ore prima».

Renzo Allegri:

«Un’altra volta i presenti avevano posto una domanda filosofica all’entità che avrebbe dovuto intervenire alla serata. Rol disse che la risposta sarebbe giunta scritta a piccole frasi su ciascuna delle carte componenti i diciotto mazzi presenti sul tavolo. Le carte erano nuove di zecca, e furono immediatamente controllate. Nessun segno era visibile. Fu stabilito il modo in cui avrebbe dovuto apparire il messaggio per poter essere letto: e cioè fu stabilito l’ordine dei singoli mazzi, secondo il colore del dorso, e poi, per ognuno dei mazzi, l’ordine dei semi. Fatto questo, Rol si concentrò un attimo, mescolò vigorosamente tutte le carte insieme, e poi disse: “E fatto”. Su ciascuna carta era apparsa una frase scritta a matita. Occorsero due ore per mettere in ordine le carte secondo il codice precedentemente stabilito e si ottenne cosi una risposta alla domanda fatta, lunga due cartelle dattiloscritte».

Franco Zeffirelli:

«in una delle mie prime visite mi disse: “Scegli una carta dal mazzo”. Un mazzo assolutamente nuovo ancora chiuso nel cellophane. “L’asso di picche” risposi, era la prima carta che mi era venuta in mente. Aprii il mazzo e ogni carta si rivelò un asso di picche. Cinquantadue assi di picche! Non era magia. Le carte erano vere, lucide, nuove di zecca. Altro che divertimento: piombammo tutti in uno stato di meraviglia, quasi di panico».

Tony Binarelli, prestigiatore professionista:

«[Dice Federico Fellini:] “Senta Binarelli, io ho sempre nel portafoglio una carta che mi è stata regalata da un mio straordinario amico…”, e francamente non avevo la più pallida idea né di quale carta potesse essere, né di come fare a indovinarla (…) [poi dico] “credo che sia il 7 di fiori” e vidi Fellini sorridere sorpreso ed estrarre dal suo portafogli proprio il sette di fiori! Aggiunse: “lei dovrebbe conoscere il mio amico Rol…! questa carta è un suo regalo e le racconto in che occasione l’ho avuta … Dovevo iniziare le riprese di un film e mi trovavo a Torino, Rol m’invitò a casa sua assieme a molti altri amici e come é successo stasera con lei, dopo cena iniziò una delle sue sedute. Realizzò dei prodigi straordinari, con carte da gioco, libri e quadri come era sua abitudine, dedicando ogni esperimento a qualcuno dei presenti e poi rivolto a me: `per lei l’ultimò, e mi consegnò un mazzo di carte nuovo e sigillato acquistato da qualcuno dei presenti. Seguendo le sue istruzioni aprii il mazzo, lo scorsi per esaminarlo e alla fine lo mescolai poggiandolo al centro del tavolo. Rol non volle nemmeno toccarlo, mi disse solo: “prenda una qualsiasi delle carte, la mostri a qualcuno, poi la rimetta nel mazzo, mescoli ancora e lasci il mazzo sul tavolo”. Eseguii le sue istruzioni, al termine Rol poggiò entrambe le mani sovrapposte sul mazzo, chiuse gli occhi, mi chiese di pronunciare il nome della carta: il tempo sembrava sospeso, dopo alcuni minuti aggiunse ‘è successo’, tolse le mani distese il mazzo sul tavolo, con le figure in alto, e tutte le carte erano diventate bianche, solo una era inalterata: infatti al centro del mazzo spiccava il mio sette di fiori, proprio questo che lei ora ha indovinato”. Terminò così questa straordinaria serata che doveva avere un seguito un paio d’anni dopo, ma in quel momento non lo immaginavo nemmeno.

Dovevano però passare circa un paio d’anni perché il “sette di fiori” di Fellini ritornasse nella mia vita. Mi trovavo nella redazione milanese di un noto settimanale, mentre casualmente il giornalista che mi era di fronte era al telefono con Rol, per il quale stava curando una serie l’articoli; ovviamente espressi il desiderio d’incontrarlo, il mio amico giornalista me lo passò al telefono e Rol, con una cortesia tutta torinese, mi disse: “Binarelli, la conosco, la seguo nelle sue performances televisive e non credo che tutto sia frutto della prestidigitazione, so che lei da tempo vorrebbe incontrarmi, come lei sa non ho piacere d’incontrare personaggi di questa categoria, ma lei mi ha interessato e sono lieto, se le fa piacere, d’incontrarla a casa mia la prossima settimana…”. Balbettai una serie di ringraziamenti e lui seguitando: “…e desidero dedicarle qualcosa, lei avrà sicuramente in tasca un mazzo di carte da gioco, lo prenda e lo estragga dal suo astuccio, guardi la prima carta del mazzo” così feci, e lui: “la carta che lei sta guardando ci lega al nostro comune amico Fellini….”. Che ci crediate o meno la carta era il sette di fiori.

 

TRATTO DALL’UOMO DELL’IMPOSSIBILE A CURA FRANCO ROL




POSSIBILITA’ : LE CARTE – 1° PARTE

 

 

Tratto da  “LE 10 PRINCIPALI FAKE NEWS DEGLI SCETTICI” su Gustavo Adolfo Rol di Franco Rol 30 settembre 2019

Lo scrittore Dino Segre (1893-1975), in arte Pitigrilli, riferiva di un incontro avvenuto intorno al 1940: «Intanto avevo promesso ad amici romani di presentare loro il dottor Rol. La prima reazione di questo stranissimo uomo è rispondere no. Ma poi, per non dispiacere a un amico, rettifica la sua decisione: “Che però non mi chiedano esperimenti”. “Non ti chiederanno esperimenti”. Conviene preparare l’ambiente: raccomandazione indispensabile: “Non chiedetegli esperimenti”. Linea di condotta da seguire: “Dottor Rol, non le chiediamo di presentarci i suoi esperimenti. Ci spieghi di che si tratta”. “E che cosa volete che vi spieghi? Mandate a comperare alcuni mazzi di carte”. E così l’uomo meraviglioso – ho detto che ha un viso soave di fanciullo – cade docilmente nell’ingenuo inganno. Furono portati i mazzi di carte, comperati da un fattorino del Grand Hôtel. I miei amici: l’attrice Luisa Ferida, l’attore Osvaldo Valenti e il padre di questo, ambasciatore a Teheran, il principe Lanza di Trabìa; invitati, un medico, un ingegnere e un’attrice minore, una bellezza romana all’aurora e un’aristocratica al tramonto. “Dottor Rol” – gli disse con franchezza l’attore. – “Il nostro amico mi ha descritto i suoi esperimenti, ma io le rivolgo una preghiera: invece di usare carte da gioco come si possono trovare in qualunque negozio, potrebbe servirsi di un mazzo di carte di cui non c’è un secondo esemplare a Roma?” “Non ho nulla in contrario” – rispose Rol. L’attore gli presentò un mazzo di carte stampate in Scozia. “Io non lo tocco” – disse Rol. – “Le conti”. “Sono 52”. “Le conti anche lei”. “Cinquantadue”. “Anche lei”. “Cinquantadue”. “E ora allargatele e stendetele in una sola fila ad arco, come fanno i croupier del baccarat, e lei, signorina, faccia correre il dito e si fermi su una carta qualunque senza guardare. Bene. Ora guardi la carta. La mostri a tutti. Ciascuno scriva il numero e il nome della carta. Fatto? Ora lei, signorina, la strappi – era il nove di fiori – e butti dalla finestra i pezzetti”. L’attrice eseguì. Alcuni frammenti caddero sulla terrazza, altri furono portati dal vento nella strada e qualcuno tornò nella stanza. “Contate le carte che rimangono”. “Cinquantadue, cinquantadue, cinquantadue” – risposero i presenti. “Cercate il nove di fiori”. “Ecco il nove di fiori”. Suonò il campanello e alla cameriera domandò: “Che carta è questa?” “Nove di fiori, signore”. “Per favore, raccogliete quei pezzi di carta. Che cosa sono?” “Pezzetti di una carta da gioco, di colore nero. Sono fiori”. C’è stato dunque un momento in cui la stessa carta si trovava al tempo stesso intera nel suo mazzo di cinquantadue carte, e allo stato frammentario sparsa fra la stanza, la terrazza e la strada».

 Prima di questo episodio, Pitigrilli aveva raccontato:

«Si serve talvolta, per i suoi esperimenti, di carte da poker, il che fa insinuare dai superficiali che faccia della prestidigitazione. Adopera carte da gioco perché, chiuse nella scatola, avvolte nel cellofan, escono intatte dal negozio e chiunque può procurarsele anche in un paese distante, eliminando ogni possibilità che egli le abbia precedentemente truccate. “Ecco tre mazzi di carte che avete comperato voi, non sono passate per le mie mani” – disse una sera a me e agli invitati in casa sua dove entravamo per la prima volta.

“Apritene due; scegliete in uno otto o nove carte; nell’altro, altre otto o nove, e allineatele per formare un numero di otto o nove cifre (le figure valgono zero). Questi due numeri saranno il moltiplicando e il moltiplicatore. Le prime carte del terzo mazzo, quello che è ancora chiuso e rimarrà chiuso, vi daranno il prodotto”. Eseguimmo i suoi ordini. I due fattori furono formati in collaborazione fra i più scettici della serata. Riuscimmo a eseguire la non facile moltiplicazione. Quando fummo tutti concordi sul prodotto, Rol disse nell’aria qualche parola (…). Ma improvvisamente si contrasse:“C’è un guaio” – disse –: “nel prodotto ci sono sei ‘sei’”. Tutti sanno che di “sei” (sei di quadri, sei di fiori, sei di cuori e sei di picche) in un mazzo non ce ne possono essere che quattro. “Non importa” – disse Rol – “aprite pure il pacco”. Le prime 17 carte, allineate nel nuovo ordine che avevano assunto nella scatola, davano il prodotto della moltiplicazione. In altre parole, nell’interno della scatola chiusa, le carte, che in una scatola intatta sono disposte in ordine crescente (asso di cuori, due di cuori, tre di cuori…) si erano disposte in un altro ordine, un ordine obbediente a una logica matematica. Non solo, ma – udite, udite! – c’erano sei “sei”, cioé due di più di quelli che esistono nel gioco. Di dove erano venute quelle due carte in più?».

(Gusto per il mistero, Sonzogno, 1954, pp. 81-84 e pp. 76-78)

Luigi Bazzoli, giornalista della Domenica del Corriere e poi direttore di Corriere Salute:

«Un altro esperimento: Rol chiede di scegliere una carta. Dico: Re di cuori. Rol dice: “dal mazzo sigillato che lei tiene nella tasca interna dove vuole che metta, senza toccarlo il re di cuori?”. Rispondo: “Nel portafoglio del fotografo”. Rol aggiunge: “Nella parte destra o sinistra?”. Scelgo la sinistra. Rol dice: “Ecco fatto”. Il fotografo [Gabriele Milani] estrae il portafogli e sulla sinistra, tra due tessere e una banconota trova il re di cuori. Io sciolgo il mazzo che tenevo nella tasca della giacca: manca il re di cuori». (Bazzoli, L., Rol l’incredibile. L’uomo più misterioso del mondo, Domenica del Corriere, 17/01/1979, p. 150 e sgg)

 

Cesare Romiti, già presidente e amministratore delegato di FIAT e Alitalia, direttore generale dell’IRI e presidente onorario RCS: «Un’altra sera a casa mia, mi chiese se avevo dieci mazzi di carte nuovi. Non li avevo, naturalmente, e mandai un autista ad acquistarli alla stazione. Rol ce li fece mescolare, poi disse ad uno di noi di scegliere una carta da uno di quei dieci mazzi. Poco dopo fece girare le prime carte degli altri nove mazzi: erano tutte identiche a quella scelta dal nostro amico». (Sette, settimanale del Corriere della Sera, 27/04/2000, p. 137)

Giovanni Serafini, giornalista de Il Resto del Carlino, poi direttore di France Soir e corrispondente da Parigi per QN:

«“Ha portato le carte?”. Lui rimase in poltrona, io mi sedetti a un grande tavolo e sparpagliai le carte sul piano. Per qualche minuto si concentrò, quindi disse: “Adesso volti l’asso di picche”. Replicai che non avevo la minima idea di dove fosse, e lui: “Lei lo sa benissimo. Provi, lasci che la mano la conduca dove vuole”. Scelsi una carta a caso: era l’asso di picche. Mi ordinò in seguito di trovare altre carte, il 6 di fiori, la donna di cuori, il re di quadri; e la mia (?) mano non sbagliò mai. Provai perfino a “barare”, scoprendo la stessa carta che avevo appena appoggiato: un istante prima era il re di cuori, adesso era diventato il 2 di quadri…». (Serafini, G., Addio, «mago» Rol, vedevi nel futuro viaggiavi nel passato, Il Resto del Carlino, 24/09/1994, p. 6)

«Sono con me Dino Biondi, sua moglie, e alcuni amici torinesi di Rol, i signori Gazzera, che abitano due piani sotto di lui. Eccoci tutti seduti attorno a un grande tavolo, coperto da un panno bianco. La luce è accesa, Rol è seduto a capotavola e ci indica alcuni mazzi di carte. “Mescolateli attentamente. E controllateli”. La “seduta” incomincia. Cinque mazzi mescolati e “tagliati” vengono deposti davanti a Rol. Da un sesto mazzo la signora Biondi estrae una carta a caso. È il cinque di quadri. Ora Rol si concentra: appoggia la punta delle dita sui cinque mazzi; dopo qualche minuto ci invita a sollevare e guardare la prima carta di ogni mazzo. È sempre, inesplicabilmente, il cinque di quadri. Rimango sbigottito: la logica dice che le carte non possono sistemarsi da sole in un certo ordine; ma d’altra parte Rol le ha appena sfiorate. Che le abbia predisposte senza che ce ne siamo accorti? Ma in questo caso, come poteva immaginare che la signora Biondi avrebbe estratto proprio il cinque di quadri? Oppure in quale maniera è riuscito a imporle di scegliere quella carta? Non riesco a pensarci troppo, perché Rol sta già preparando l’esperimento successivo. Mi dà un mazzo e mi dice di mescolarlo e di sparpagliarne quindi le carte sul tavolo, in un ordine qualsiasi. Contemporaneamente dà alla signora Gazzera un secondo mazzo e le dice di scegliersi una carta. La signora esegue: è l’asso di cuori. Quindi viene invitata a pensare un numero: quattordici, dice. Ora Rol si rivolge a me: “In quale ordine vuole contare?”. Da sinistra a destra. “Benissimo – aggiunge sorridendo – conti quattordici carte di quelle che ha davanti a lei, da sinistra a destra”. Non può essere l’asso di cuori, penso. Invece, arrivato alla quattordicesima carta, devo constatare che è così. L’esperimento mi appare tanto più sconcertante in quanto Rol non ha toccato nessuna carta. Ripete il gioco decine di volte, complicando sempre di più: e l’asso di cuori continua sempre a uscire, qualunque sia il numero pensato, a turno, da ognuno di noi. A un certo punto Rol mi fa scoprire ben quattro carte: sono, oltre all’asso di cuori, quello di picche, di fiori, di quadri. Mi sento un po’ a disagio, ma affascinato. A poco a poco non dubito più, mi costruisco invece la convinzione che tutto sia naturale, logico: non può non essere l’asso di cuori, penso, mentre scopro per l’ennesima volta le carte. Così, quando Rol mi dice di sistemare un mazzo sotto un vassoio, eseguo meccanicamente. Dino Biondi viene invitato a estrarre una carta da un altro mazzo. È il due di picche. “Faccia scivolare leggermente il vassoio, in modo da sparpagliare le carte”, mi dice Rol. E aggiunge: “Vogliamo trovare questo due di picche?”. Lo guardo stupito, ma so già che finirò certamente per trovarlo. Infatti, appena sollevo il vassoio, mi accorgo che fra tutte le carte coperte spunta l’orlo di una carta capovolta. La libero dalle altre che le stanno sopra: non poteva esserci dubbio, è proprio il due di picche. Altre volte mi trovo a indicare con sicurezza il valore delle carte coperte, come se le vedessi. E, come sempre, Rol è distante, e le carte fuori della sua portata. Ora la seduta si fa ancora più appassionante: chiede di preparargli, ben mescolato, un mazzo qualsiasi. Glielo metto davanti. Si concentra, ed impone la mano sulle carte. Ad un certo punto vediamo tutti indistintamente il mazzo levitare di qualche millimetro, con il caratteritico fruscio delle carte che vengono mescolate. Un leggero colpo con due dita, e il mazzo si apre per tutta la lunghezza del tavolo come un lungo nastro: le carte sono alternamente coperte e scoperte, come una vivace fisarmonica. Guardiamo Rol ad occhi spalancati e lui, allegro, continua a conversare, sorridendo, e mangia pasticcini». (Serafini, G., Il prodigio come un gioco, Il Resto del Carlino, 13/04/1972, p. 3)

 

Leo Talamonti (1914-1998), ex colonnello dell’Aeronautica Militare e poi giornalista e scrittore:

«Alcune ore dopo, nella bella casa di due gentili signorine – le cugine del dottor Rol [Raffaella e Elda Rol, rispettivamente figlia e moglie di Franco Rol (madre, nonna e nonno dello scrivente)] – questi acconsentì gentilmente a mostrarci parecchie altre “cosette da niente”; e la dimostrazione durò alcune ore. Protagonisti di quelle avventure magiche erano dei nuovissimi mazzi di carte francesi che a volte obbedivano ai suoi cenni lontani e distaccati, altre volte si comportavano come se avessero discernimento, volontà, gusti estetici propri. Per lo più il nostro ospite preferiva che a manipolare i mazzi fosse qualcuno di noi: di solito il regista Fellini, a volte il dottor M. [Bruno Mancuso medico e primario di una clinica di Trento], o qualcun altro dei presenti (eravamo in undici). Uno degli esperimenti più belli ebbe luogo quando Rol – che sedeva a qualche metro di distanza da me, all’estremità opposta del grande tavolo – mi invitò ad allargare a ventaglio uno di quei mazzi: e potemmo vedere chiaramente che le carte erano tutte disposte a dorso in su. Dopo di che fui pregato di ricomporre il mazzo e poi di allargarlo ancora come prima: e in tutto saranno trascorsi appena tre secondi. Questa volta, le 52 carte francesi non erano più tutte col dorso in su; risultavano invece disposte – regolarmente – una col dorso in su, e l’altra in maniera opposta: una sistemazione che avrebbe richiesto parecchi minuti, ad eseguirla manualmente. Queste cose il dottor Rol le chiama modestamente “esperimenti”». (Talamonti, L., Universo proibito, SugarCo, 1966, p. 353)

Il sig. Roberto Sacco, direttore di divisione di una azienda torinese:

«Sorprendentemente lasciava che facessi tutto io: lui non maneggiava mai le carte, anzi se ne stava a debita distanza, e per giunta si trattava sempre di mazzi intonsi che toccava ad altri aprire. Uno dei giochi più clamorosi è avvenuto allorchè, avendo in mano tutte le carte, Rol mi ha chiesto di annunciare ad alta voce quella che avrei scelto. Ciò detto, mi ha invitato a sbattere il mazzo nella sua interezza contro il tavolo, in modo da assestargli un colpo deciso ma non violento. Ebbene, si è girata esclusivamente la carta che avevo individuato. La cosa più sorprendente è che ho ripetuto almeno una ventina di volte quel movimento cambiando ogni volta obiettivo, e in altrettante occasioni è sempre e soltanto venuta fuori proprio la carta che volevo».

 E ancora:

«Davanti a numerose persone, ammantando il tutto con un po’ di teatralità, chiedeva: “In che ordine desiderate che si sistemino?”. Qualunque fosse la risposta, per colore, per seme, una girata in un senso e quella seguente nell’altro, in ordine crescente o decrescente, l’esperimento riusciva alla perfezione. E lui, lo ripeto per l’ennesima volta perchè era la cosa più strabiliante e inspiegabile, pur non toccando mai le carte le comandava a bacchetta, ne disponeva a suo piacimento». (Ternavasio, M., Gustavo Rol. Esperimenti e testimonianze, L’Età dell’Acquario, 2003, pp. 59 e 60)

Questi episodi sono solo una breve selezione illustrativa. Si rimanda al cap. V de L’Uomo dell’Impossibile, che raccoglie questa specifica fenomenologia (54 pagine) al momento fino al 2015 (3a edizione).




POSSIBILITA’ : CARTE (PREMESSA)

Prima di terminare con una descrizione delle 50 possibilità di G.A.R. è doveroso fare una premessa per la possibilità più criticata di Rol, usato come mezzo per screditare i suoi esperimenti, mentre in realtà lui le definiva “le aste” , ovvero il 1° livello di esperimenti, l’abc per esperimenti sempre più difficili, questo perchè le carte si prestano meglio per comprendere alcuni concetti base , ma purtroppo… quindi lasciamo parlare Franco Rol e al termine della premessa verranno inseriti alcuni esperimenti.

Tratto da  “LE 10 PRINCIPALI FAKE NEWS DEGLI SCETTICI” su Gustavo Adolfo Rol di Franco Rol 30 settembre 2019

  • Rol usava anche le carte da gioco, quindi non poteva che essere un prestigiatore

FALSO. Tale affermazione, a seconda dei casi, può essere una menzogna oppure espressione di ignoranza. Nel primo caso quando, pur conoscendo la tipologia di questi esperimenti, lo scettico di turno per partito preso li qualifica come giochi di prestigio, soluzione comoda e funzionale alla sua narrativa/ideologia. Nel secondo, si tratta di banale pregiudizio e di carenza di informazione (lo scettico non ha mai neanche letto come si svolgevano questi esperimenti né conosce le condizioni ambientali e men che meno le spiegazioni di Rol), tale per cui diventa ovvio, consequenziale, che usandosi carte da gioco, non potrebbe trattarsi che di giochi di prestigio. Lo scettico ovviamente ignora sia in quali circostanze furono inventate le carte da gioco sia l’origine dei loro simboli (e di certo non furono gli illusionisti ad inventarle) cosí come ignora che già furono usate come mezzo statistico e, questo lo dovrebbe sapere – lo sanno anche i bambini – come puro intrattenimento (tanto che chiunque ha un mazzo in casa e ogni tanto le usa, e questo non fa di lui un illusionista) o come gioco piú complesso (per esempio il bridge). E con le carte si possono fare anche i famosi castelli, un uso “ingegneristico” che evidentemente nulla ha a che vedere con l’illusionismo. Ciò premesso – ovvero per sottolineare che è arbitrario dare alle carte un uso a priori definito sulla base dei propri pregiudizi e delle proprie fantasie – dobbiamo dire che esse per Rol sono importanti:

  • innanzitutto perché è da lì che è iniziato il suo originale e imprevedibile Nel 1927, dopo tentativi ossessivi durati due anni e portati avanti al seguito di una specie di scommessa personale iniziata per caso (si veda il racconto dei mazzi visti in una vetrina di un tabaccaio a Marsiglia, e analisi collegate, in Il simbolismo di Rol, 3a ed. 2012, p. 372 e sgg.) riuscì ad indovinare tutte e 52 le carte di un mazzo. Quel giorno, era il 28 luglio 1927 e si trovava a Parigi, scrisse sulla sua agenda di lavoro:

«Ho scoperto una tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore. Ho perduto la gioia di vivere. La potenza mi fa paura. Non scriverò più nulla!»

 Nel 1987 racconterà: «Cominciai con le carte: perché non doveva essere possibile conoscere il colore di una carta coperta? Provai e riprovai, ma per molto tempo senza risultati. Poi un giorno guardando un arcobaleno ebbi la folgorazione: mi resi conto che il verde era il colore centrale, quello che teneva uniti gli altri. Misurai la vibrazione del verde e scoprii che era la stessa della quinta musicale, e che corrispondeva a un certo grado di calore. Così cominciai a indovinare esattamente le carte e, a poco a poco, a fare tutte le altre cose…» (cfr. per altri dettagli FAQ n. 4 ns. sito www.gustavorol.org )

  • l’uso che egli ne fece successivamente è legato principalmente alla loro funzione di strumento matematico, ovvero di generatore di un ordine a partire da condizioni aleatorie. Tale ordine veniva a costituirsi casualmente eppure teleologicamente con la partecipazione di tutti i presenti, Rol facendo quasi la parte di motore immobile, come un direttore d’orchestra che si limita a coordinare i vari

A titolo di esempio schematico, possiamo dire che un esperimento “facile”, per iniziare la serata poteva essere fatto con due mazzi: veniva invitato l’ospite A a prendere il suo mazzo, mai toccato da Rol, e a mescolarlo, quindi a porlo davanti a sé e tagliare in un punto qualunque, mostrando la carta del taglio, poniamo l’asso di cuori. Rol invitava poi l’ospite B a prendere il suo mazzo, a mescolarlo e a porlo davanti a sé, quindi per usare magari un metodo diverso e sempre totalmente aleatorio chiedeva all’ospite C un numero da 1 a 52; questi per esempio diceva 22, e allora Rol diceva all’ospite B: “tolga 21 carte dalla cima del suo mazzo, poi giri la ventiduesima: dovrebbe essere l’asso di cuori”. L’ospite B toglieva una ad una con circospezione le carte, arrivava alla ventiduesima, la girava ed era l’asso di cuori.

Gli esperimenti poi proseguivano più o meno sullo stesso schema, aumentando di volta in volta la complessità e la aleatorietà, chiedendo per esempio all’ospite D la prima parola che gli veniva in mente, di contare poi le lettere di quella parola e di sommarle alle lettere di un’altra parola detta dall’ospite E poco prima, quindi di andare a prendere un libro qualsiasi da uno scaffale e di cercare il capitolo il cui numero era stato determinato dalla precedente addizione, e in questa pagina, la prima parola o la prima riga o un’altra riga era la stessa che Rol prima dell’esperimento aveva scritto su un foglio davanti a sé e mostrato ai presenti. E così via, in ordine crescente.

Resta da dire, come quadro generale, che questi esperimenti per Rol erano «da prima elementare», le aste, come le chiamava (i segni che i bambini imparano all’inizio dell’alfabetizzazione, per formare poi le lettere), l’ABC o il primo gradino della sua fenomenologia, con cui spesso iniziava gli esperimenti anche con amici che li avevano visti piú volte, che faceva con i piú giovani (come era lo scrivente quando li vide) o con i nuovi arrivati, che con essi venivano introdotti appunto alla sua fenomenologia, in una maniera meno traumatica possibile e con una (apparente) atmosfera giocosa. Come scrive il regista Federico Fellini: «Ciò che fa Rol è talmente meraviglioso che diventa normale; insomma, c’è un limite allo stupore. Infatti le cose che fa, lui le chiama ‘giochi’, nel momento in cui le vedi per tua fortuna non ti stupiscono, nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente». (Kezich, T., Giulietta degli spiriti, di Federico Fellini, Cappelli editore, 1965, p. 38)

Rol non li chiamava comunque “giochi”, ma esperimenti, anche se poteva fare eccezioni con uno come Fellini, per favorire una «atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici» dove cercava di «sminuire…buttarla in ridere». Fellini ricorda «…la sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento che si può provare davanti ai suoi traumatizzanti prodigi», «ma nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla in ridere per far dimenticare e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo, i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Son occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta, gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza.» (Fellini, F., Fare un Film, Einaudi, 1983, p. 89)

Data questa breve introduzione generale, andiamo ora ad elementi piú particolari. Le carte:

  • rappresentano da un lato la classe fenomenologica preminente, sulla base del numero di testimonianze, ovvero dei casi riferiti, e non potrebbe essere altrimenti: essendo il primo gradino introduttivo alla sua fenomenologia, vi passavano praticamente quasi tutti i testimoni (tranne negli incontri casuali con Rol in altre circostanze); dall’altro lato, rappresentano comunque una parte minoritaria della fenomenologia, circa il 12%, quando usate da sole, e circa il 17% prendendo in considerazione anche l’uso ausiliario per altre classi di fenomeni, dove la scelta aleatoria di carte serve per determinare numeri corrispondenti ad esempio alle pagine di una enciclopedia, dove si desidera trovare la risposta a un dato quesito. Queste percentuali si basano al momento sulla classificazione complessiva delle testimonianze conosciute dal 1949 al 2015;
  • i mazzi erano molto spesso nuovi e portati dai presenti;
  • nella maggior parte dei casi Rol non li toccava nemmeno, li faceva manipolare e mischiare da altri, anche lontano da lui, molto spesso dall’inizio alla fine dell’esperimento (chi scrive lo può testimoniare direttamente). Di fatto questi esperimenti avevano una natura partecipativa, dove Rol si limitava a dare indicazioni, come un direttore d’orchestra che non suona alcuno strumento e si limita a coordinare i musicisti o come un istruttore che dà indicazioni su come avviare un macchinario. Nei casi ampiamente minoritari in cui toccava le carte tale azione era chiaramente ininfluente per lo svolgersi dell’esperimento;
  • Rol poteva trasferire ad altri il “potere” di fare qualsiasi esperimento, anche quelli con le carte, di fronte agli attoniti sguardi degli altri partecipanti all’incontro;
  • Rol poteva fare questi esperimenti anche per telefono, nello stesso modo in cui avvenivano in sua presenza, e questa è la logica conseguenza del fatto che poteva trasferire ad altri questo suo “potere”: le distanze sono ininfluenti;
  • gli esperimenti avvenivano normalmente in piena luce, intorno a un tavolo da pranzo a casa di amici oppure a casa di Rol, oppure in qualsiasi altro ambiente improvvisato, con una media di 5-7 persone (ma anche solo in due, Rol e il testimone), assistendo e partecipando a distanza ravvicinata e con una possibilità di controllo estremamente elevata, in particolare nei casi di molteplicità di esperimenti uno di seguito all’altro, talvolta per ore (cfr. punto seguente);
  • in una serata in cui Rol si sentiva in piena forma, potevano essere condotti esperimenti anche solo con le carte (se nel gruppo c’erano novizi, non ancora pronti per esperienze di grado superiore) per due o tre ore di fila, conducendo fino a 20 o 30 esperimenti, generalmente varianti sullo stesso tema, dove la struttura emergeva identica proprio grazie alla ripetizione consecutiva;
  • i presenti avevano modo di verificare l’autenticità di quanto avveniva sia per il ravvicinato contatto visuale delle dinamiche in corso, sia per la loro ripetitività, sia per le ottime condizioni di luce, sia per il loro ruolo partecipativo e la distanza di Rol dalle trasformazioni che parevano spesso avvenire da sole, quasi che le carte fossero esseri vivi, sia per l’ambiente scherzoso e rilassato, lontano da rituali, trance, ecc. (precisazione: scherzoso non significa leggero, ma solo spontaneo e naturale, tra amici: Rol inframezzava anche discorsi serissimi di natura filosofica, scientifica e spirituale), sia infine per la naturale sfida che talvolta avveniva, per la confidenza che ormai gli amici avevano, a cercare di cambiare qualche elemento dell’esperimento, per confermare a se stessi, ancora una volta, che non poteva esserci stata prima alcun tipo di predisposizione se non addirittura di influenza ipnotica;
  • oltre a sollecitare la partecipazione diretta dei presenti, Rol cercava di spiegare anche il meccanismo degli esperimenti, in maniera assolutamente pratica ma anche collegandosi alla sua teoria dello “spirito intelligente” (cfr. FAQ 8 del sito e Il simbolismo di Rol). Il suo obbiettivo era quello di dimostrare – anche solo con le “banali” carte – che gli esseri umani possono interagire con una dimensione molto più allargata della coscienza, dello spazio, della materia e del tempo. Rol non si “esibiva” né faceva alcuno spettacolo, ma anche solo con le carte voleva dimostrare la realtà della sua scoperta (e ci è riuscito ampiamente con tutti coloro ai quali ha avuto occasione di mostrare in modo continuativo questi esperimenti, incluso lo scrivente);
  • quando i testimoni affermano che questi “giochi” non avevano nulla a che vedere coi giochi di prestigio intendono dire che il loro modo di essere condotti, la loro struttura partecipativa, il fatto di Rol non toccare le carte e altri elementi ancora, ne facevano qualcosa di molto diverso da tutto quanto si vede fare dagli illusionisti;
  • a dimostrazione di questa affermazione vi è inoltre il fatto che io ho invece immediatamente riconosciuto delle consistenti e evidenti analogie con esperimenti simili dove si fa uso anche di carte da gioco, condotti negli anni ’10 e ’20 del secolo scorso in Belgio da un gruppo di amici-studiosi facente capo a un ingegnere, Henri Poutet, appassionato di matematica ed esoterismo. Non risulta che esistano nella storia del mondo altri esperimenti analoghi a questi, ovvero quelli del gruppo Poutet e quelli di Rol – con appena qualche sfumatura di differenza – sono gli unici di questo

Il dossier completo è allegato al secondo volume delle mia antologia L’Uomo dell’Impossibile;

  • La natura matematica (evidentemente non lineare) di questi esperimenti è chiarissima, e una sua formalizzazione potrebbe costituire una delle più grandi scoperte scientifiche di tutti i tempi;
  • detto questo, il fatto che gli illusionisti si riempiano la bocca parlando solo di carte da gioco (senza comunque sapere di cosa stanno parlando) è l’indice di una grossolana forzatura e misdirection, visto che la maggior parte della fenomenologia di Rol è costituita da fatti sconcertanti che avvenivano con grande spontaneità, impossibili da preparare in precedenza, nei luoghi più diversi e con le persone più diverse, fatti di chiaroveggenza, di telepatia, di precognizione indiscutibili, e questo senza menzionarne altri decisamente da fantascienza e tuttavia testimoniati da molte persone in epoche diverse e che neanche si conoscevano o sapevano che altri avevano raccontato fatti analoghi (ma raccontando le stesse cose, indice che si tratta di fenomeni oggettivi). La nostra antologia è stata creata proprio con lo scopo principale di mettere a confronto tutti questi racconti, che se presi singolarmente e aleatoriamente si fanno fatica a credere, ma che messi insieme e confrontati con decine di altri dello stesso tipo diventano immediatamente degni della massima attenzione scientifica (come qualsiasi fenomeno che presenti ricorrenza). Quando gli illusionisti, quindi, parlano solo delle carte, essi si limitano, senza saperlo (o, peggio, sapendolo) nel citare una sola delle numerose possibilità di Rol, guardandosi bene dal menzionare anche le

A titolo di esempio, citiamo qui qualche esperimento con le carte, cominciando da uno che ne configura la funzione immediata e pratica, senza bisogno di spiegazioni teoriche preliminari.

 




POSSIBILITA’ : FOLGORAZIONE

 

Riportiamo un episodio  raccontato in “salse diverse”, attraverso le testimonianze di diverse persone grazie alla pubblicazione di Franco Rol : “l’uomo dell’impossibile”. Questo episodio si caratterizza per la volontarietà di Rol di agire per salvare…lo leggerete, ciò che è fantastico è ancora l’azione sulla materia, questa volta vivente ed in maniera istantanea, fulminea, meglio ancora folgorante…buona lettura e riflessione

Federico Fellini, 1964:

«Una volta eravamo nel parco del Valentino, e a qualche dozzina di metri da noi c’era un bimbetto in culla. La sua nurse si era addormentata. Ad un certo momento indicai a Rol, con apprensione, un calabrone che si avvicinava ai bambino, e forse stava per pungerlo. Gli bastò un gesto delle mani per fulminare l’insetto da quella distanza. A ripensarci, mi viene ancora oggi la pelle d’oca».

 Federico Fellini, 1987:

«Per non parlare del giorno in cui, seduti su una panchina del Valentino, ci stavamo godendo il sole. Accanto a noi un neonato in una carrozzella dormiva e, assopita dal calore, anche la balia dormiva. Un calabrone si avvicinò alla carrozzina e Rol, a venti metri di distanza, senza aprire bocca decretò la morte dell’insetto, che cadde sulla ghiaia nello stesso momento in cui il mio amico pronunciava il suo necrologio».

[Riportiamo dl seguito altri tre racconti dello stesso episodio riferiti da scrittori e amici di Fellini]

1. Dino Buzzati, 1965:

«Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un’altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. “Guarda là” dice Fellini “bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia”. “No, non occorre” risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell’insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. “Ah, mi dispiace“, deplora l’uomo misterioso e affascinante. “Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere”».

Leo Talamonti, 1966:

«Ci sono dei fatti che non possono essere taciuti in nome di un’opportunistica prudenza, anche se si trovano evidentemente spaesati in quest’epoca e in questo ambiente. Con ogni probabilità, essi non saranno creduti; ma potrebbero essere discussi, ed è già qualcosa. L’episodio al quale ci riferiamo è avvenuto di recente, e riguarda quello stesso personaggio del quale ci siamo occupati più di una volta, e anche all’inizio del capitolo: il dottor Gustavo Adolfo Rol.

L’altro protagonista è Federico Fellini, elle ha narrato la vicenda a Simone di San Clemente e a me.

II regista stava passeggiando con il dottor Rol nel parco del Valentino, quando il suo occhio inquadrò una delle tipiche scene dell’ambiente: un bambino di pochi mesi addormentato pacificamente nel suo carrozzino e la bambinaia che sonnecchiava anche lei sulla panchina accanto. A un tratto un grosso calabrone ronzante si avvicinò alla culla, e Fellini temette che l’insetto potesse pungere il bambino, Dato che la donna seguitava a dormire placidamente, stava per muoversi lui stesso, quando il dottor Rol lo precedette con una iniziativa imprevedibile: alzò la mano in un gesto imperioso verso l’importuno calabrone, e questi cadde fulminato.

Tra i tanti fatti `spaesati’, evidentemente questo lo è più degli altri; non c’è dubbio. E quanto al commento, lo lasciamo alle parole stesse del regista (…): «Forse non avrei dovuto fare questa indiscrezione; ma bisogna pur decidersi una buona volta a rendere testimonianza agli aspetti inconsueti della realtà.(…)».

Rinaldo Geleng, 2001;

«Un episodio che ricordo con i brividi riguarda un bambino. Federico lo raccontava spesso, perché evidentemente, quando si verificò, sconvolse pure lui. “Eravamo nel parco del Valentino, seduti su una panchina intenti a discutere”, mi disse. “Era luglio e faceva molto caldo. A qualche metro da noi c’era un bimbetto che dormiva nel suo carrozzino. La nurse si era appisolata sulla panchina. A un certo momento vidi un grosso calabrone che ronzava minaccioso su quel bambino e stava per posarsi su di lui. `addio, adesso lo punge, esclamai. Rol guardò da quella parte, vide il calabrone, alzò la mano puntando il dito contro l’insetto, il calabrone si fermò in volo e cadde. Andai a controllare. Il calabrone era tra l’erba stecchito, fulminato”».

Franca Pinto:

«Rol mi ha chiesto di dargli un mazzo nuovo. Gliel’ho dato, ancora incelofanato. Mi chiede di dire una carta. Dico asso di cuori. Rol si concentra, avvicina il dito indice al mazzo, suda e diventa paonazzo. Poi mi dice di guardare. Spacchetto il mazzo. Constato che la custodia di plastica sottostante é bruciata e annerita in un punto, della stessa dimensione del polpastrello, e si vede bene la plastica fusa. Nel mazzo, l’asso di cuori presenta una bruciatura nello stesso punto».

TRATTO DALL’UOMO DELL’IMPOSSIBILE A CURA FRANCO ROL




POSSIBILITÀ’ : FENOMENI VARI

FENOMENI VARI

Uto Ughi:

«[A casa di ROL lui] cominciò subito a parlarmi delle corde dei miei strumenti e la cosa mi lasciò senza fiato. Proprio in quei giorni avevo problemi con le corde di uno dei miei violini. Con precisione millimetrica mi suggerì come dovevo fare e che cosa. Sbalordito, feci cenno di si, che avrei fatto come lui diceva. [Qualche giorno più tardi] Solo a casa, prendo in mano quel violino che mi dava problemi e comincio a provare. Non va bene, penso che devo cambiare una corda e mi interrompo. Cambio la corda, riprendo lo strumento, non è ancora perfetto. Provo ancora, sistemo ancora la corda, nulla. Il suono non mi soddisfa, poi improvvisamente mi viene in mente che proprio Rol, pochi giorni prima, mi aveva parlato di quelle corde. Bastò quell’attimo, quel secondo, quell’associazione di idee perché tutto diventasse normale. Non so spiegare cosa sia successo. Ora il suono è perfetto. Come d’incanto, come se una bacchetta magica… Proprio una bacchetta magica? Che sia stato Rol? Me lo chiedo ancora».

Maria Luisa Giordano:

«Sul divanetto del ‘700 in salotto era appoggiato un violino antico. Rol non volle mai suonarlo, però mentre era al telefono nell’altra stanza una sera si mise a suonare da solo, la sua voce era dolcissima, penso fossero frasi musicali di Paganini».

Emma Ghion:

«A Rol era stata fatta una lastra fotografica all’alto addome. Questa lastra aveva una stranezza: l’area dove sarebbe dovuta iniziare la testa era sostituita da un alone di luce. Ricordo che la lastra é stata presa da uno dei medici, ma non saprei dire da chi. Gustavo, osservandola, mi aveva detto: “Vede, questa è la mia energia”».

Giuseppe Trappo:

«Una notte accadde che un medico, assistente di reparto, avendo dimenticato un referto, tornasse a riprenderlo. Vedendo la luce ancora accesa nello studio del direttore, incuriosito, si avvicinò affacciandosi sull’uscio. [Il direttore sanitario] Mensi, riconosciutolo, lo invitò ad entrare e ce lo presentò. Nel fare le presentazioni sottolineò le straordinarie facoltà di Rol e la fama di cui godeva in Italia e all’estero, iniziammo a conversare del più e del meno e dopo un paio di minuti Rol, rivolgendosi ai medico, lo apostrofò così: “Caro il nostro dottore, lei non crede che io sia in grado di fare certe cose, non è cosi?”. Il medico, visibilmente a disagio, abbozzò una risposta confermandogli tutta la sua stima. Ma Rol, più deciso che mai, gli lancia una gelida occhiata e gli disse: “Non menta, dottore! Lei non crede in me e nelle mie sperimentazioni. Non menta, perché glielo leggo nel pensiero” e il poveretto, rosso come un peperone, continuò a negare sostenendo che Rol si sbagliava. L’atmosfera si era fatta pesante quando Rol, addolcendo un po’ il tono, aggiunse: “Senta, per dimostrarmi la sua sincerità, faccia una cosa. Lei conosce molto bene tutte le stanze di questo piano. Ebbene, esca da questo studio ed entri nella stanza accanto, proprio qui a fianco, a sinistra. Vada dentro e li troverà una sorpresa. È per lei”. Il medico, completamente sconcertato, si guardò intanto non sapendo cosa fare. Vedendo la sua esitazione, Rol gli rinnovò l’invito: “Per favore, vada nella stanza qui accanto. Troverà una sorpresa che le schiarirà le idee”. Conoscendo Rol, avevamo già capito le sue intenzioni. Intervenne allora Mensi che esortò il collega dicendogli: “Vai! Vai pure. Segui l’indicazione del dottor Rol, Sai bene che la stanza qui accanto è vuota da tempo. Che paura hai? Vai!”. Il medico, rincuorato da queste parole, si alzò, uscì dalla studio e apri la porta della stanza che gli era stata indicata. Non passò neppure un secondo che udimmo un forte scrosciar di cascata, e poi null’altro. Com’era possibile? Eppure il rumore che avevamo udito era proprio quello che fa l’acqua quando cade dall’alto in copiosa quantità. Ci precipitammo nel corridoio e vedemmo il poveretto li, appena oltre la soglia della stanza, bagnato come un pulcino, immobile in un lago d’acqua. Eppure la stanza era completamente vuota e inutilizzata da tempo. Non c’erano docce, rubinetti, secchi, pompe o altro che potesse giustificare anche solo una piccolissima parte della quantità d’acqua che era stata rovesciata sulla testa del malcapitato».

Pierlorenzo Rappelli:

una sera eravamo in casa nostra, e qualcuno di noi aveva parlato del fatto che vista la stagione -. noi abitavamo in via Giolitti sulla piazza Cavour, c’erano diverse piante di castagne, c’erano moltissime castagne per terra — si è parlato del fatto che la stagione era così e che c’erano delle castagne per terra. Gustavo ha detto: “Castagne?” e all’istante una pioggia di castagne sono arrivate nella camera, ce n’erano delle centinaia per terra. Ora, evidentemente non le aveva in tasca quelle castagne li, non ha potuto tirarle fuori di nascosto. Le abbiamo raccolte, le abbiamo messe in un sacco… Sono arrivate tutte… le abbiamo sentite cadere.. le castagne erano da tutte le parti».

Domenica Visca Schierano:

«Abbiamo visto cadere dal soffitto dei cioccolatini».

Nico Orengo (n.p.):

«Mi ricordo un episodio clic si raccontava, di un signore torinese che disse a Rol di non credere alle sue facoltà. Però da quel momento  si ritrovò credo per un mese a dovere uscire — proprio sentire la necessità fisica di uscire ­tutte le sere a mezzanotte, prendere la macchina e andare a fare un giro in collina».

Valerio Gentile:

«Eravamo nel 1980. Si usavano molto gli ultrasuoni, come sistemi di sicurezza. (…). Io misi un buon impianto di sicurezza ultrasonico. Lui il giorno dopo mi telefonò dicendomi: “Gentile venga a toglierlo. lo non voglio niente come risarcimento, perché non riesco a dormire, riesco a sentire questo rumore, che mi entra in testa, no riesco assolutamente…” io in un primo tempo dissi: mah, che strano, eppure noi installiamo solo quello. Avevamo fatto decine di impianti a Torino, a diverse personalità… Ancora adesso ci sono degli impianti a ultrasuoni che vengono utilizzati in giro — in musei e quant’altro — ma nessuno sente i suoni. Pensai che mi prendesse in giro. Ma era molto seccalo anzi che io non riuscivo a capirlo, e mi ricordo la sua insistenza, perché prima di parlare con me contattò mia madre dicendo: “Deve assolutamente liberarmi da questi suoni”. In un primo tempo lo presi come una persona che volesse quasi prendermi in giro. Poi in realtà quando lo vidi di fronte mi resi conto che in effetti aveva qualcosa che lo turbava. Gli smontai tutti i sensori, mi portai via tutto indietro, e lui si rasserenò. Disse: “Bene, così mi hai capito“» [Gentile installò poi un altro tipo di impianto].

Rinaldo Soncin:

a [Rol] era venuto qui da me per dirmi se posso andar [a casa sua] a far un altro lavoro. “Signor Soncin, Le misuro la pressione”. Abbiamo aperto il doppio metro sul mio banco. Non ha tirato fuori di tasca niente per poter fare questo, mi ha chiesto un pezzo di spago sottile e un chiodo. Gli ho dato circa mezzo metro di spago, ha legato la testa del chiodo, con la punta che scende in giù verso il metro. Mi ha preso il polso in mano. Siamo andati avanti pian pianino con la punta del chiodo che quasi toccava il metro, quando siamo arrivati a 128 — e lui col mio polso in mano — la punta del chiodo misurava 128, la mano sua andava ancora avanti, pianino, ma la punta del chiodo non si muoveva da 128. È andato avanti di circa 3/4/5 cm, finché il chiodo è andato avanti anche lui. Io guardavo in basso verso il chiodo e il metro, per vedere se la punta tocca il metro: non toccava! A un certo punto mi ha detto: “Signor Soncin, ce l’ha a 128. Presi gli accordi per il lavoro, da andare a fare a casa sua, Se n’è andato. Io sono andato subito in via Belfiore all’angolo, alla farmacia Verga. [Quindi chiede:] “Mi misura la pressione?” “Senz’altro”. Mi misura la pressione:128 [di massima]. Cosa potevo dire io? A meno che non mi abbia ipnotizzato, ma secondo me la punta dei chiodo non toccava il metro. (…). lo non rimanevo in piedi, guardavo la punta del chiodo se tocca[va] il metro. [Ci mostra come: chinandosi con la testa quasi al livello del bancone di lavoro] Non lo toccava.

[Facciamo notare che questa necessità di verificare da vicino dimostra come non poteva essere ipnotizzato. Soncin poi ribadisce quanto fosse stato stupito del chiodo che si era bloccato come se avesse trovato nell’aria un impedimento invisibile ? o spago e il chiodo non cadevano in verticale, ma restavano inclinati, in diagonale] La punta del chiodo non toccava il metro. Ho visto che è andata avanti poi di scatto. Prima é andava avanti in parallelo, poi ha traballato, dopo il 128, é come se avesse toccato un ostacolo. E io la pressione non me l’ero mai misurata. La mano avanza lentamente, e la punta del chiodo si arresta sul 128? Perché’? E il mio polso era sempre nella sua mano che mi teneva. (…). lo non sapevo come misura la pressione lui. Ho pensato: adesso tira fuori l’elastico, la pompetta e mi misura la pressione, ce l’ha in tasca. No: me l’ha misurata con questo sistema qui, unico al mondo. ..e l’ha azzeccata».

Lorenzo Mondo:

«Ricordo una memorabile serata in compagnia di Ceronetti: le luci del salone si accendevano e si spegnevano da sole, in una notte serena l’acqua gocciolava sul tavolo, vicino alla porta d’ingresso avvertivamo come un calpestio su un manto di foglie secche».

 Frassati (Gustavo Rol):

«In una delle sue rare “confessioni” raccontava: “Pensa che non posso più andare `Aux Invalides’ perché si muovono tutte le bandiere!”».

 Giordano (Gustavo Rol):

«Ogni volta che [Rol] si recava al museo “Des Invalides”, a Parigi, al suo passaggio le bandiere francesi si mettevano a sventolare, come per un saluto».

Federico Fellini:

«Un’altra volta si parlava di colori, di fiori e, di colpo, il mazza di garofani, che c’era nella stanza perse i colori, si spense completamente diventando grigio».

Maraini (Federico Fellini):

«[Fellini] Mi raccontò come l’amico [Rol] avesse usato un giorno l’energia delle mani per creare un vortice di carta materializzandola dai cestini di lontani uffici abbandonati; come aggiustò seduta stante lo borsetta della moglie usando un dito come attrezzo perforante; come sapesse leggere un libro chiuso o curare a distanza come aveva fatto telefonicamente con Zeffirelli. Quel giorno, tuttavia, il registratore non aveva funzionato; in seguito, quando gli dissi che la cassetta era rimasta vergine, egli rispose “Meglio cosi”. Sapeva che quei fatti, chi non li aveva visti o vissuti non li avrebbe mai capiti».

Giuseppe Platania:

«[Con Rol] si parla, per circa mezz’ora, di fenomenologia non scientificamente dimostrata. improvvisamente tutte le luci si spengono (accertammo poi che il black-out aveva interessato l’intero palazzo) e si riaccendono dopo quattro secondi (verificabili dalla videoregistrazione). Alla riaccensione, sul tavolo in palissandro, a circa quattro metri dai divani, è presente un oggetto del quale si era parlato in precedenza divagando su Napoleone(…). Mentre lo esaminiamo stupiti (era freddissimo, quasi gelato), lui commenta soddisfatto; “È andata bene che questa volta non ha fatto rumore e non vi siete spaventati._.!”, poi ride compiaciuto, tra sé e sé. Gustavo era di fronte  (il tavolo era posto lateralmente ad entrambi, a circa quattro metri di distanza) e non si mosse di un millimetro durante il black-out, come d’altra parte testimonia il filmato, se non per il brevissimo periodo senza luci). Nessuna spiegazione su quell’apporto, ma la dichiarazione che si tratta di un dono “speciale”».

TRATTI DALL'”UOMO DELL’IMPOSSIBILE” A CURA DI FRANCO ROL




POSSIBILITA’: OGGETTI VIVENTI

 

LE TESTIMONIANZE IN MERITO ALLE STATUETTE LE TROVATE AL LINK SOTTO

https://michiamorol.altervista.org/statuette-magiche/

 

 

recenti aggiornamenti grazie a Franco Rol, rimediano ad alcuni errori scaturiti dalle testimonianze suddette.

Qui di seguito la trascrizione. Il maiuscolo sostituisce il sottolineato del testo cartaceo.

« 2 STATUETTE IN MARMO POLICROMO – testa, braccia e piedi in marmo roseo d’Africa. Straordinariamente interessanti. Terzo o quarto secolo dopo Cristo. Colonia Romana in Africa. Rarissime! Queste due statue vennero da me acquistate separatamente, a distanza di anni; la prima dall’antiquario Bianchi, l’altra dallo antiquario Massimo Novarese. Formano “pendants”. La più sorridente (col nasino un po’ rotto – antiq. Novarese), mi pervenne in condizioni straordinarie, poco normali. NON VANNO PIÚ SEPARATE. Posso affermare che VOLLERO ESSERE RIUNITE. Mi è assai difficile stabilirne il valore commerciale. La presente valutazione [del 1985 c.ca, 25 milioni di lire = 35.000 euro nel 2021] è veramente irrisoria!

Parla Franco Rol

Questo documento che ho pubblicato (sono l’amministratore unico della pagina, per chi non ne fosse al corrente) rettifica tra l’altro una affermazione non corretta di Maria Luisa Giordano – come anche altre, purtroppo, di questa autrice… – la quale nel riferire delle statuette scrive che «Rol possedeva due statue molto antiche che risalivano a circa tremila anni fa, probabilmente di origine fenicia.» (“Gustavo Rol una vita per immagini”, 2005, p. 87). Come si vede esse hanno invece circa 1700 anni. Anche la collocazione “fenicia” deve essere considerata scorretta, e forse deriva da una personale associazione fatta dall’autrice tra “colonia romana in Africa” di cui Rol deve aver fatto menzione e la Tunisia dove si trova Cartagine. Ma nel III e IV secolo dopo Cristo l’epoca fenicia era passata da tempo e la regione era provincia romana.

Ne “L’Uomo dell’Impossibile” dove riportavo l’episodio (caso XI-1) ancora nella terza ed. del 2015 non ero a conoscenza di questo scritto di G.A. Rol, pertanto non ho potuto segnalare gli errori. Invito chi abbia i due libri ad annotare a margine la datazione corretta e l’attribuzione romana, così da non tramandarli. Questo comunque l’episodio completo raccontato dalla Giordano:

«Rol possedeva due statue molto antiche che risalivano a circa tremila anni fa, probabilmente di origine fenicia. Alte circa 40 centimetri, in marmo pregiato, rappresentavano due fanciulle con il volto leggermente ambrato, il corpo drappeggiato da un morbido peplo. In mano reggevano uno scettro a forma di torre, metà per una: statue con proprietà particolari, ogni tanto si ricoprivano di petali di rose. La loro storia è particolarmente affascinante e Rol ce la raccontò dopo che una sera, mentre ci trovavamo nel suo salotto ad ascoltare Mozart, avvenne un fatto prodigioso. Le due statue che erano su un tavolino, ben allineate, all’improvviso iniziarono a muoversi e i presenti attoniti le videro scendere dal loro piedistallo, passeggiare sul tappeto e quindi ritornare al loro posto. Tutti credevamo di avere avuto un’allucinazione, invece era la pura verità: Rol sorridendo della nostra meraviglia e del nostro stupore, si decise allora a raccontare la loro storia».

p.s. lo scettico pronto a derubricare la testimonianza sulla base dell’imprecisione iniziale, tenga presente che i ricordi di ciò che si è vissuto personalmente e quelli di cose sentite dire hanno tracce diverse nella memoria, e quindi diverso grado di accuratezza; ovvero: si può ricordare male cosa si è sentito dire da qualcuno, ma è più difficile ricordare male cose di cui si è fatta personale esperienza, specialmente con eventi a forte impatto emotivo. Del resto, ci sono testimonianze analoghe di altri testimoni, tanto che rientrano nella classe “oggetti viventi” della mia antologia summenzionata.




POSSIBILITÀ’: FIAMMATE, RAGGI LUMINOSI, FENOMENI SONORI

 

 

 

 

 

 

 

Fiammate o raggi luminosi

Aldo Provera:

«Una sera Rol interrogò una mia quintavola ritratta in un dipinto sulla parete: il quadro balzò in avanti con una fiammata blu e su un foglio bianco che tenevo in tasca comparve la risposta, con calligrafa femminile».

 Lugli (Aldo Provera):

«Sulla fine degli anni Settanta e negli Ottanta Gustavo Rol va di frequente a casa dell’amico Aldo Provera ( egli nominerà poi suo esecutore testamentario insieme con la dottoressa Catterina Ferrari). (…). Una sera del ’77 il gruppo di amici (Provera non ricorda chi fosse presente) è seduto intorno a un tavolo in un salotto tutto rivestito di boiserie del ‘704. È passata la mezzanotte e, dopo la pausa per il rinfresco con pasticcini, si riprende la seduta. Rol ha intenzione di fare una scrittura diretta, ma non sa ancora su quale argomento. incomincia a far distribuire i fogli intonsi che ognuno piega come solitamente si €a, poi rocca al padrone di casa sceglierne uno e metterselo in tasca. “Allora” si domanda Rol, “su cosa facciamo l’esperimento?”. Un attimo di silenzio, tutti pensano, Racconta Provera: “lo ero seduto alla sinistra di Gustavo e avevo di fronte a me, appeso alla parete, un dipinto di una mia ava, Margherita Rovere, bisnonna di mia nonna, che aveva sposato un francese, Jean François Chaidagues. Ho detto: “Di questa mia avola si è sempre raccontato che un suo figlio sia morto avvelenato. E se provassimo a chiederle se è vera questa storia”. Gustavo si è voltato a guardare il dipinto, poi ha detto: “Va bene, proviamo con lei”. Nell’istante in cui ha finito di pronunciare “lei”, la parte inferiore del quadro é stata proiettata in avanti e si é staccata di almeno dieci centimetri dalia parete e contemporaneamente una fiammata azzurra si é sprigionata da sotto il lato inferiore della cornice, il quadro, che era rimasto appeso ai suo chiodo, è poi ricaduto nella posizione originaria, ma battendo sul rivestimento della boiserie ha fatto un rumore fortissimo. Siamo rimasti impressionati, direi un po’ anche Rol, perché un fenomeno di quel genere non si era mai visto nei suoi esperimenti. Stavamo ancora commentando l’accaduto, quando si è presentata una nostra collaboratrice familiare che dormiva al piano di sotto. Allarmata per il rumore sentito, veniva a chiedere cosa era successo. Dunque, non era stata una nostra suggestione, se il rumore si era udito anche al piano sottostante. Rol a questo punto mi ha invitato ad estrarre il foglio dalla tasca perché ha detto, la fiammata e il distacco del quadro significavano che l’esperimento era già avvenuto. E infatti il foglio era scritto. Era la stessa Margherita che, in francese, rispondeva alla nostra domanda: suo figlio non era stato avvelenato, ma era morto per una improvvisa infiammazione intestinale, quella che oggi chiamiamo peritonite»,

Giuditta Miscioscia:

Una sera eravamo qui, con un quadro, dove, ai centro di un paesaggio invernale, pieno di neve, si vede il capitello della Madonna di San Secondo. “Gustavo, chissà che freddo aveva la Madonna con tutta quella neve”, dissi. Lui cominciò a guardarmi fisso, ripetendo: “Freddo? Freddo? Freddo? La Madonna non ha freddo” e in quei momento una lingua di fuoco usci dal quadro, una lingua che sembrava la fiamma accecante di un saldatore elettrico, Corsi a vedere, ma sul quadro non era rimasto Alcun segno».

Fenomeni sonori

Luciana Jorio:

«Mentre sorbiamo il tè e lui sta parlando di questa sua bellissima casa ­situata a Torino in Via Silvio Pellico: una strada signorile e tranquilla, vicino al Po — nella quale vive appartato tra mobili antichi, grandi quadri e severi tendaggi, avverto un sordo rullio di tamburi. È un rullio strano, angoscioso. Pare che venga da lontano, ma ho anche l’impressione che sia vicinissimo. “Dottor Rol”, chiedo, “che cosa sta accadendo? Dov’è che rullano questi tamburi?”. “Qui nella stanza accanto”. Rimescola il tè nella tazzina. “Sono appesi alle pareti”. “E chi li suona”. “Nessuno“. “Vuoi dire che suonano da soli?”. “Certo. Suonano sempre da soli. Venga”. Lo seguo in un salone immerso nella penombra. Appesi alle pareti, intravvedo alcuni tamburi. Essi vibrano, fremono, emettono quel rullio cupo senza che nessuno li tocchi».

Tullio Kezich:

«La prima cosa che mi colpi entrando in casa Rol fu un’alzata di polverosi tamburi ottocenteschi nell’atrio».

Cesare Piozzo di Rosignano:

«All’epoca avevo all’incirca sei-sette anni. Era una domenica sera d’inverno, con la famiglia stavamo rientrando in macchina dalla montagna. Da qualche ora stavo molto male per un forte mal di pancia che preoccupava non poco mia madre. Arriviamo in via Bricherasio, dal portone di un palazzo esce Rol, buon amico dei miei, che mi vede sofferente. Allora avvicina la mano al mio addome, intanto per strada si avverte un fortissimo squillo di tromba nonostante nei paraggi non ci fosse anima viva: dopo pochi istanti del mal di pancia non c’era più traccia. Ci tengo a precisare che quel suono non apparteneva alla fantasia di un bambino, ma è stato distintamente Sentito da mia sorella, da mio padre e da mia madre».

Giuditta Dembech:

«Ci fu un altro episodio in cui vidi intervenire nuovamente una forza estranea a Rol, Eravamo a casa sua con mio figlio Clay che all’epoca aveva dieci anni, era pomeriggio inoltrato. Stavamo definendo gli ultimi dettagli per il libro che, finalmente, avevo già cominciato ad abbozzare. Dal suo studio, ingombro di tele, colori, scartoffie, ci spostammo nel salotto con le rose. Lui era seduto nella solita poltrona, io e Clay sul divano accanto. Nel corso del dialogo giungemmo ad un momento di forte contrasto fra noi. Rol aveva in mano una lettera di qualcuno e non voleva che la leggessi e né che sapessi chi gliel’aveva inviata, la teneva stretta a sé. Mi spiegò che nella missiva, quel “qualcuno” gli consigliava di farmi usare uno pseudonimo per firmare il libro. Diceva che il mio nome non sarebbe stato bene accetto in Vaticano per via dei miei precedenti volumi di divulgazione esoterica. Ora, è bene sapere che Rol desiderava con tutto il cuore il placet del Vaticano ma, nonostante che alcuni alti prelati si fossero rivolti a lui e avessero assistito ai suoi esperimenti, da quel fronte spirava un silenzio raggelante… Chiaramente gli dissi che non avrei mai accettato di nascondere il mio nome, che sono sempre stata onesta e leale con chiunque, che ho sempre scritto quello che ritenevo autentico senza mai falsare la verità. Gli dissi che, non so il Vaticano, ma io potevo andare a fronte alta dinanzi al Trono di Dio… Rol era contrariato, cercava inutilmente di farmi cambiare idea, io non recedevo di un millimetro anzi, cercavo di allungare il collo e sbirciare almeno la firma su quel foglio. La tensione fra noi stava aumentando. All’improvviso si senti come un rombo di tuono dentro la casa, badate bene, non fuori! Era come se il tuono corresse lungo tutto il perimetro del soffitto, facendo tremare i vetri. Era una giornata d’autunno, serena e luminosa, nessuna nuvola e né avvisaglia di temporale. Al piano superiore non c’era nessuno che potesse far rumore. Ma non mi fece la minima impressione. Ad un certo punto il divano su cui io e Clay eravamo seduti cominciò a sobbalzare, spinto dal basso verso l’alto da una forza sconosciuta… Anche questo mi lasciò del tutto indifferente. Conoscendo Rol sapevo che poteva essere l’effetto combinato della sua collera e della mia, avevo visto ben altro con lui… Clay invece, ad una scossa più forte balzò in piedi e mi chiese di tornare a casa perché aveva mal di testa. Rol, stranamente, fu molto imperioso col bambino a cui invece era molto affezionato; “seduto là” gli disse…».

TRATTI DALL'”UOMO DELL’IMPOSSIBILE” A CURA DI FRANCO ROL




POSSIBILITA’ : ANIMALI E PROFUMI

Animali

Federico Fellini:

«Ricordo nel parco di Torino: andavamo a spasso e guardavamo gli uccelli, gli insetti, le persone. Vedemmo tra i rami un pappagallino sfuggito a chissà quale gabbia, Rol lo chiamò e il giorno dopo consegnò il volatile alla sua proprietaria in lacrime, che prima d’allora non aveva mai visto ne conosciuto»

Maria Luisa Giordano:

«Gustavo gli domandò [a Fellini] quale sensazione gli trasmetteva questo dipinto e il regista rispose: “Una grande serenità, una grande pace”. Rol allora si volse a me per chiedermi: “Qual è il simbolo della pace?” “La colomba!” risposi. Subito sentimmo un fruscio nella stanza accanto, quasi un battito d’ali: sembrava ci fosse un volatile. “Cosa succede di la?” esclamò Gustavo. “Andiamo a vedere.” Vi lascio immaginare il nostro stupore, una voRita Jacob

«Vorrei raccordare un episodio banale, assolutamente inedito. E stato scritto su Rol di tutto, dagli esperimenti più grandiosi eccetera.. .Questo episodio accaduto con me è proprio de minimis, direi che a volte sono proprio i piccoli dettagli che possono confermare la grandiosità dell’opera. Una sera venne a trovarmi, io abitavo ancora vicino all’ospedale Sant’Anna dove lavoravo. Venne a trovarmi dopo cena, forse c’era qualche mio amico, poche persone comunque. Arrivò col suo pacchettino di dolci. Io allora avevo una cocker femmina, e chi ha avuto dei cani, soprattutto un cocker, può testimoniare che sono animali golosissimi. Tant’è che c’era una prova classica: avevamo una scatola di biscotti in cucina, nell’altra camera lei sentiva toccare questa scatola e si precipitava. Quella sera Rol entrò, ci salutò, parlò al cane, ricordò una sua cagnetta da caccia a cui lui era molto affezionato, e poi il cane andò in cuccia. E lui fece semplicemente così con la mano. dopodiché scartammo il pacchetto delle tignole, e mangiammo tranquillamente col cocker perfettamente addormentato tutta la sera. Era a due metri, non era in un’altra camera. Dopodiché quando se ne andò, il cocker si alzò e lo salutò».

bis «Io avevo un cane molto goloso. Rol non voleva essere disturbato quella sera, e poco dopo essere entrato fece un gesto con la mano aperta (come se spolverasse qualcosa) in direzione del cane che rimase nella sua cuccia senza andargli incontro e dormi per tutta la serata senza infastidire o desiderare minimamente i dolci e i biscotti di cui solitamente era goloso».

Profumi

Remo Lugli:

« Gianni De Coster, di Torino, che possiede un suo [di Rol] quadro raffigurante un mazzo di rose, riferisce a più di una persona – nel 1973 – che ogni tanto le rose dipinte si mettono a profumare come se fossero vere e la materia pittorica sembra essere in continuo movimento producendo suggestive sensazioni».

Maria Luisa Giordano:

«…profumi che, insistenti, provenivano a zaffate in modo improvviso dai suoi quadri».

Rita Jacob:

«Questo quadro fu dipinto durante una seduta in casa dello scrittore Lugli. Questo esperimento è descritto in parecchi libri che raccontano gli esperimenti di Rol. C’erano molte persone tra cui quattro signore, e Rol domandò cosa si voleva si dipingesse. Si parlò di stagioni. Ognuna delle signore scelse una stagione, io scelsi l’autunno. Si offuscarono le luci e nel giro di un quarto d’ora il quadro venne dipinto. Dopodiché si divise in quattro parti e Rol prese la parte che toccava a me, e lo fece incorniciare lui stesso ­quindi anche la cornice è stata scelta da Rol, e me lo regalò. Coglierei l’occasione per raccontare un episodio inedito. Quella sera  io indossavo un completo e durante l’oscurità sentii che venivo toccata sul braccio, con dei tocchi leggeri. Dopodiché tutto avvenne, si riaccese e furono regalati i quadri. Arrivai a casa, riposi il vestito nell’armadio. Due o tre giorni dopo mi capitò di andarlo a cercare e sentii un profumo intensissimo. Dopo circa venti giorni, un mese, venne a trovarmi un mio amico, un signore che adesso è primario in provincia, di cui dirò solo il nome: Erie – che potrebbe quindi testimoniare – e raccontai l’episodio, andai a prendere il vestito nell’armadio, e ancora dopo venti giorni, un mese, si sentiva questo intensissimo profumo. È stata una cosa molto particolare, molto bella». «Quella sera li io avevo un completo molto carino, venni a casa e lo misi nell’armadio. Dopo una settimana aprii quella parte di armadio, e sentii un profumo straordinario, [che] emanava questo completo. Dopo 15 giorni aprii l’armadio, e c’era un profumo straordinario. Dopo un mese venne a trovarmi un mio amico, parlai di questo esperimento, aprii l’armadio, e questo profumo era ancora li. Ora, o magari una sciocchezza, però provate a mettere qualsiasi profumo su un indumento, chiudetelo nell’armadio, e dopo credo due o tre giorni questa cosa se ne va…».

Piero Femore

«Durante tutto l’esperimento un profumo, violentissimo e nauseante, di violette si era diffuso per la stanza».

TRATTI DALL'”UOMO DELL’IMPOSSIBILE” A CURA DI FRANCO ROL




POSSIBILITÀ’ : MATERIALIZZAZIONE E SMATERIALIZZAZIONE DI OGGETTI (Giovanni Paisiello -3° parte)

(Giovanni Paisiello -3° parte)

L’episodio dello spartito «venuto dal nulla» ebbe un seguito molti anni dopo, nella primavera del 2002. Una violinista piemontese, Vera Anfossi, direttore artisti­co dell’Orchestra Filarmonica del Piemonte, orchestra specializzata nell’eseguire concerti e opere liriche nei teatri di provincia, stava cercando musiche inedite o rare per il suo complesso. Con una sua amica, Luisa Miroglio, si era recata nella Biblioteca del Castello di Guarene, in provincia di Cu­neo, di proprietà della contessa Anna Provana di Collegno, dove si trovano parecchi spartiti musicali, e anche addirittura manoscritti, in gran parte sconosciuti.

Luisa Miroglio conosceva, per averla letta, la storia della seduta in casa di Rol, nel corso della quale Paisiello mi aveva regalato Io spartito di una sua canzone. La Miroglio ricordava anche l’immagine di quello spartito, di cui aveva visto la fotografia pubblicata. Così, quando Vera Anfossi le mostrò, tra le varie opere che aveva scelto da esaminare, anche lo spartito di Paisiello, si ricordò della curiosa storia, andò a consultare la foto pubblicata e scoprì che lo spartito era una copia identica di quello misteriosamente arrivato in casa di Rol molti anni prima. Le due amiche, incuriosite dalla coincidenza, dalla storia, e affascinate dalla figura di Rol, raccontavano in giro agli amici quanto avevano trovato. Durante un concerto nel Teatro del Casinò di Sanremo, ne parlarono anche con Ito Ruscigni, responsabile dell’Ufficio stampa del Casinò, il quale conosceva a sua volta la vicenda. Ito Ruscigni è un personaggio mitico. Poeta, saggista, ma anche appassionato di esoterismo. Ha urta mente vulcanica, sempre in ebollizione. Sulla Costa Azzurra è una istituzione. Nonostante il disinteresse dei nostri contemporanei per la cultura, da anni lui cerca di mantenere una tradizione culturale che risale all’anteguerra, i famosi Martedì letterari del Casinò di Sanremo. Si tratta di incontri del pubblico con celebri scrittori italiani e stranieri che parlano dei loro libri e della loro attività letteraria. E, cosa strana e curiosa, quei Martedì letterari riescono a radunare a ogni incontro un pubblico incredibilmente numeroso, con il tutto esaurito in teatro, dando alla cittadina, popolare per il gioco e le canzonette, quel prestigio culturale che la rende famosa e nota anche all’estero. Ruscigni, sentendo il racconto di Vera Anfossi, pensò immediatamente di dedicare uno dei suoi Martedì a quella fantastica vicenda. Con Vera Anfossi, organizzò un concerto nel teatro del Casinò, con l’esecuzione, in prima mondiale assoluta in tempi moderni, di quella musica di Paisiello che sembrava perduta, e chiamò me a raccontare la storia dello spartito «arrivato dal nulla»,, in una serata «medianica» in casa di Rol, il celebre sensitivo torinese.

Ruscigni è un mago dell’organizzazione. Articoli, manifesti, interviste, notizie, suspense, preparò l’incontro destando interesse e curiosità. Quando andai a tenere la conferenza, il teatro era pieno. L’attesa del pubblico altissima. E fu un pomeriggio veramente interessante. Il mio personale interesse però era diverso da quello della gente accorsa a sentire la storia e ad ascoltare quella musica. Io portavo dentro di me un grande dubbio. Pur avendo vi­sto cose mirabolanti negli incontri con Rol, pur avendo una grande stima per quell’uomo, restava, nel mio profondo, il sospetto che fosse un grandissimo illusionista, e che quindi le sue serate fossero abilmente organizzate a tavolino. Sospetto che non sono mai riuscito a scacciare dalla mia mente. Per cui, quando Ito Ruscigni mi telefonò spiegandomi che cosa voleva fare, provai un triste senso di smarrimento. Se era stata trovata un’altra copia di quello spartito, ed era stata trovata a Guarene, in Piemonte, sorgeva il sospetto che Rol, torinese, avrebbe potuto aver sottratto lo spartito in quella Biblioteca e avere poi montato lo spettacolo. Il mio dubbio si acuì quando seppi che Rol conosceva bene la contessa Anna Provana, proprietaria del Castello di Guarene, per aver frequentato la sua casa tenendovi serate memorabili. «Frequentando quella casa» mi dicevo «Rol ha trovato lo spartito di Paisiello, lo ha preso per preparare poi la sua bella serata.» Pensieri indegni, dopo tutto quello che Rol mi aveva mostrato, ma non riuscivo a scacciarli dalla mente. Ero quindi curiosissimo di vedere quello spartito, di sentire da Vera Anfossi la vicenda esatta di come era stato trovato, e anche di ascoltare la musica. L’esecuzione fu straordinaria ed emozionante. Il Gruppo d’archi dell’Orchestra Filarmonica del Piemonte era costituito da giovani professori. Giovane anche il direttore, il maestro Aldo Salvano, e giovane la cantante lirica, il soprano Annamaria Borsi. La musica di Paisiello molto viva, tipi­camente settecentesca, ma graziosissima. Ascoltai il concer­to continuando a pensare alle circostanze strane che avevano riportato alla ribalta quella musica, composta dal giovane Paisiello per una serata di carnevale, e rimasta nel­l’oblio per duecentoquattro anni. Alla fine del concerto andai a esaminare lo spartito. Era identico al mio. Stampato a Venezia da Marescalchi, nella stessa data. Copia perfetta. Con un piccolo particolare, però. Sul mio spartito era scritto, a mano: «A Trieste 12 craitzer»; era cioè indicato il costo con cui si vendeva a Trie­ste. Su quello trovato a Guarene, sempre a mano, ma con grafia diversa, vi era scritto: «In Torino 6 soldi». Il soldo era la moneta in corso a Torino nell’Ottocento.

Quel particolare poteva significare che i due spartiti avessero la stessa origine, ma che quello «recuperato» dallo «spirito intelligente» di Paisiello, in quella famosa serata del 18 febbraio 1977, non proveniva dal Castello di Guare­ne, ma da Trieste. Come Rol mi aveva raccontato, «lo spiri­to intelligente» non va in giro a rubare gli oggetti per gli apporti, ma li prende dove si trovano «smarriti» da tempo, e quindi in pratica non sono più di proprietà di alcuno.




POSSIBILITÀ’ : MATERIALIZZAZIONE DI OGGETTI (Giovanni Paisiello -2° parte)

(Giovanni Paisiello – 2° parte)

Quando tornai in albergo quella notte, non riuscii a dormire. Continuavo a ripercorrere tutte le fasi di quell’esperimento per vedere se ci fossero stati dei momenti in cui avevo perso contatto con la realtà. Pensavo che Rol mi avesse addormentato. Ma avrebbe dovuto addormentare anche tutti gli altri. Il fatto era troppo complesso, troppo articolato per ritenere che fosse frutto di un imbroglio. Dovetti concludere che Rol era un medium formidabile, di quelli che praticano la trance vigile, e che il fenomeno cui mi aveva fatto assistere era di grandissima qualità. Stando sul piano di una normale seduta medianica, avrei dovuto ammettere che quella sera era venuto dall’aldilà lo spirito di Paisiello per regalarmi uno dei suoi spartiti, e questo andava contro tutti i miei principi, le mie convinzioni religiose. Ma di questo parlerò più avanti. Il giorno dopo, quando andai a trovare Rol, tornammo a parlare dell’esperimento della sera precedente. Accennai appena alla seduta medianica, ma Rol troncò subito il discorso affermando: «No no, niente sedute medianiche. Io non ho niente a che fare con lo spiritismo, non sono me­dium, ieri sera tu non hai assistito a nessuna seduta medianica. Hai assistito a un esperimento straordinario di presa di contatto con lo “spirito intelligente” di Paisiello, non quindi con la sua anima che si trova in paradiso. Capito? Lo “spirito intelligente”, è una cosa diversa». Non avevo capito niente, ma cambiai discorso perché sapevo che, insistendo sul versante delle sedute spiritiche, Rol si sarebbe arrabbiato. La pubblicazione di quell’articolo, dove si raccontava l’incontro con Paisiello, ebbe un successo inatteso. Avevamo pubblicato anche le foto dello spartito «arrivato dal nulla» e ricevetti molte telefonate da amici musicisti, tra cui anche una dal maestro Nino Rota, il compositore delle colonne sonore dei film di Fellini. Rota era allora direttore del Conservatorio musicale di Bari. Mi fece molte domande su quel manoscritto. Disse che quella musica non era conosciuta e mi chiese di poter acquistare lo spartito per la Biblioteca del Conservatorio. «Paisiello è nato a Taranto» mi disse, «è quindi pugliese, e io vorrei avere quello spartito per tenerlo qui a Bari.» La vicenda di quella musica, cominciò a interessarmi anche da un punto di vista culturale. Mostrai lo spartito a un antiquario di Milano e mi disse che era certamente autentico, del Settecento. Mi confermò che a Venezia vi era stata una stamperia di musica di proprietà di due soci: Luigi Marescalchi e Carlo Canobbio. Richiamò la mia attenzione su un’aggiunta a penna sulla prima pagina dello spartito, aggiunta che poteva essere decifrata con queste parole: «A Trieste 12 craitzer». «Probabilmente» mi disse l’antiquario, «a Trieste questo spartito veniva venduto a 12 craitzer. ll “craitzer” o “kreuser”, come si diceva in Au­stria, era la sessantesima parte di un fiorino sotto l’impero asburgico.»

In seguito, tornai varie volte a parlare con Rol di quel­l’apporto. Gli chiesi da dove potesse essere venuto. Gli dissi che certi musicisti amici miei avevano fatto delle ricerche ma non avevano trovato traccia di quella composizione di Paisiello. Affermavano però che la musica era proprio tipica del compositore pugliese. «Si tratterà di una composizione andata perduta» diceva Rol. «In fondo non è lo sparito di un’opera, ma di una canzone. Di quante pagine è composto lo spartito?» chiese. «Di otto» risposi. «Vedi, è un piccolo spartito, una canzone che Paisiello aveva composto per quel carnevale. Quanti anni aveva Pai­siello nel 1773?» «Era nato nel 1740 e quindi aveva trentatré anni. Si era già messo in evidenza con alcune opere, che erano state rappresentate con successo a Napoli e anche a Bologna. Probabilmente proprio in quegli anni si trovava a Milano o a Venezia perché stava lavorando su alcuni libretti del commediografo veneziano.» «Vedi quindi che i conti tornano» disse Rol soddisfatto. E aggiunse ridendo: «Paisiello ti ha regalato lo spartito di una sua composizione che è inedita. Dovresti farla eseguire, farla conoscere, farne un disco». «È una buona idea» risposi. «Il maestro Nino Rota, amico di Fellini, è interessato allo spartito. Vorrebbe acquistarlo per la Biblioteca del Conservatorio di Bari, dove lui è direttore.» «E tu glielo vendi?» «Assolutamente no. Non venderò mai una cosa del genere, a nessun prezzo.» «Bravo. Ricordati che non si deve mai, per nessuna ragione, speculare su questi oggetti che hanno un legame con dimensioni che ancora non si conoscono». «Come ha fatto quello spartito a venire da Trieste a Tori­no?» chiesi.

Eravamo al ristorante. Avevamo già finito di pranzare. Ma come sempre, restavamo a lungo seduti a chiacchierare. Rol giocherellava con la mollica del pane. Faceva delle pal­lottoline che poi radunava tutte insieme in mezzo al tavolo. Alla mia domanda, si fermò come per riflettere sulla rispo­sta da darmi. Poi mi fece vedere la pallottolina di mollica che stava arrotolando. «La vedi bene?» disse tenendola nel palmo della mano aperta. «Sì» risposi. Lui chiuse la mano, e la riaprì dopo uno, due secondi. La pallottolina non c’era più. «Dov’è andata?» chiesi. «Non so» rispose Rol, «l’ho disintegrata.» E aggiunse: «Succede così anche negli apporti. Il mio “spirito intelligente”, aiutato dallo “spirito intelligente” con il quale sono in contatto in quel momento, preleva l’oggetto dove si trova, lo smaterializza e lo rimaterializza dove deve apparire. Niente si crea e niente si distrugge: questo principio resta sempre valido». «Sicché, lo “spirito intelligente” di Paisiello ha rubato lo spartito da qualche parte per portarlo a me» osservai. «No, non lo ha rubato» protestò Rol. «Paisiello non commetterebbe mai un’azione disonesta. Lo “spirito intelligente” di Paisiello ha “preso” quello spartito in un luogo dove era dimenticato da tanto tempo e quindi non era proprietà di nessuno.» «In teoria» insistetti, «uno “spirito intelligente”, potrebbe svaligiare una banca.» «Potrebbe» rispose Rol, «ma ora ci addentriamo in un argomento difficile, ed è inutile parlarne.»